mercoledì 31 dicembre 2008

Cosa buttare e cosa tenere del 2008?

Fireworks
Io butterei via il Vaticano.
Persino più di quanto butterei via Berlusconi.
E basta, non se ne può più. Trasferiamolo in Groenlandia come hanno proposto su Facebook. Magari tra ghiaccio, trichechi o inuit Benedetto trova il suo ambiente naturale.
Oggi ho persino letto che lo Stato del Vaticano ha annullato il recepimento automatico delle leggi varate in Italia. Ottima cosa. Quando si deciderà l'Italia a fare lo stesso con le leggi vaticane?



E invece tengo volentieri l'onestà di Tiziana Concu, responsabile di un negozio di alimentari di Cagliari, che ha trovato 160 mila euro in una cassetta e, invece di tenerseli come suo passepartout personale contro la crisi economica, li ha restituiti tutti.
Un bell'esempio di come gli italiani non siano solo mafiosi, politici, o corrotti... o tutte le tre cose insieme.



Un augurio di uno stupendo 2009 a tutti.



martedì 30 dicembre 2008

C'è del marcio in Belgio?

Belgio
Se nessuno vuole prendere il potere in un paese, evidentemente qualche problema ci deve pur essere, è palese. Se poi questo potere nessuno lo vuole prendere da più di un anno, direi che siamo in piena crisi.



E' quasi incredibile che si parli in questi termini del Belgio, piccolo Stato Europeo che tutti conoscono perché la capitale, Bruxelles, è sede di molti importanti palazzi internazionali ed europei. Eppure dall'inizio del 2007 le notizie sulla crisi politica del paese si sono fatte più frequenti. Le due anime che compongono il paese, i fiamminghi a nord e i valloni a sud, non riescono più ad andare d'accordo e nemmeno a legiferare in maniera comune in materia di un federalismo più marcato di quello che possiedono ora. I fiamminghi accusano i valloni di sperperare tutte le loro risorse, un po' come da noi la Lega accusa il meridione. Solo che, parlando con un amico vallone francofono, anche i francofoni ammettono che ciò sia vero. E i fiamminghi si sono stufati di essere il cavallo buono che tira tutto il peso del carro.



Dicono che il Belgio ora come nazione non abbia che un re (Alberto II) e una squadra di calcio nazionale, mentre il resto è tutto diviso. Oggi, dopo l'ennesima crisi del governo Leterme, il presidente della Camera Van Rompuy ha trovato l'intesa con le cinque forze politiche più importanti del paese e assumerà il mandato per portare avanti il governo precedente (unica eccezione: un nuovo ministro della giustizia a sostituire il dimissionario Vandeurzen). Riuscirà il nostro prode fiammingo a portare a casa la fine della legislatura più controversa della storia belga?



domenica 28 dicembre 2008

Littizzetto santa subito

Oggi mi sono rimesso in pari con le puntate di Che Tempo Che Fa che mi sono perso nel mese di dicembre.



Oltre ad essere una comica di eccezione, Luciana è di un'intelligenza finissima, è arguta, colta e sensibile al punto tale da riuscire a far passare messaggi molto potenti grazie al suo modo disinvolto, quotidiano e assolutamente spontaneo di esprimersi.



Qui di seguito due pezzi delle ultime due puntate in cui commenta la posizione della Chiesa rispetto alla depenalizzazione dell'omosessualità e alle scene tagliate del Brokeback Mountain andato in onda su Rai2:

 










sabato 27 dicembre 2008

Torino, fine di una capitale part II

Savoia
Altrimenti detta il seguito della low-profile entry di ieri.
Per non lasciare le cose così a metà.



"L'addio a Torino non è indolore. Il ministro della Guerra, generale Alessandro Della Rovere, sdegnato, si dimette. Il re dà fuori di matto. Con Minghetti, che si dice sicuro di interpretare 'il sentimento degli italiani', piange e grida: "Che dirà Torino? Non è indegno rimeritarla di tanti sacrifici con un sacrificio ancora più crudele? E che importa a voialtri di Torino? Sono io che ne ho il cuore schiantato, io che ho sempre vissuto qui, che ho qui tutte le memorie d'infanzia, tutte le abitudini, i miei affetti". Uno sfogo in cui la parola chiave, come vedi, è voialtri. A cui di Torino non importava nulla, o peggio.



Invano il re manda a Parigi un altro generale, Luigi Menabrea, con una lettera per scongiurare Napoleone di lasciar perdere. Il 20 settembre la notizia è sui giornali. Il giorno successivo la folla si raduna in piazza Castello e in piazza San Carlo al grido di 'Torino o Roma'. La protesta è scambiata per rivolta. I generali piemontesi sono più sgomenti ancora della folla per il trasferimento della capitale, ma sono anche del tutto impreparati a fronteggiare un moto di piazza. Il 22 i cortei ripartono. Viene schierato l'esercito. Sparano per prime le reclute dei carabinieri, ma contro i fanti. I fanti rispondono. E' una strage. Il re non si fa vedere in città: "Non voglio essere testimone oculare del sangue versato nel paese che mi vide nascere" (è nato a Palazzo Carignano, a cento metri dal luogo dove il sangue è stato versato). Ne approfitta per chiedere a Minghetti di dimettersi. Il presidente del Consiglio chiede un ordine scritto. Lo ottiene subito.



A quel punto bisogna decidere cosa fare, e quale città scegliere come capitale. Vittorio Emanuele pensa di affidarsi ancora una volta a Rattazzi, ma l'amico si chiama fuori: non ha alcune intenzione di legare il suo nome al tradimento di Torino, pretende di annullare l'accordo con la Francia. Lamarmora invece accetta, ma il nuovo governo non sa neppure dove stabilirsi. Chi al posto di Torino propone Napoli. Chi Venezia, che non fa neppure parte del Regno. Risolve il re: "Andando a Firenze, dopo due anni, dopo cinque, anche dopo sei se volete, potremo dire addio ai fiorentini e andare a Roma; ma da Napoli non si esce; se vi andiamo, saremo costretti a rimanerci". Passeranno infatti sei anni prima di un altro, fatale 20 settembre. Ma gli incidenti a Torino non sono finiti. La sera del 30 gennaio, in una città tesa e straziata, è in programma a corte il gran ballo di Carnevale. Le carrozze degli aristocratici che tentano di avvicinarsi a palazzo vengono bersagliate di ortaggi e di sassi. Il ballo va deserto. Sentendosi a sua volta tradito, Vittorio Emanuele respinge le dimissioni del ministro dell'Interno Giovanni Lanza e parte per Firenze. (L'accoglienza dei fiorentini è entusiasta. Porge il saluto della città il venerando Gino Capponi, discendente di Piero. Un entusiasmo che svanirà in fretta, e i fiorentini non hanno ancora perdonato ai piemontesi gli sventramenti e in particolare la lapide di Piazza della Repubblica. In effetti l'accenno al 'secolare squallore' del centro storico di Firenze non è dei più felici; ma allora era parso così.) Una delegazione parte da Torino per implorare il perdono del sovrano. Vittorio Emanuele rifiuta di riceverla. Dopo lunghe insistenze, l'udienza è accordata. Il re si infuria un'altra volta, grida, rimprovera, poi scoppia ancora a piangere, perdona, è perdonato, e di Torino capitale non si parlerà più."



(Messori, Cazzullo, Il Mistero di Torino, Mondadori, 2004, p.451-452)



venerdì 26 dicembre 2008

Torino, fine di una capitale part I

Misterotorino
Riprendo a scrivere nel blog dopo una breve parentesi di qualche settimana non troppo felice (né tranquilla) della mia vita. E riprendo riportando qualche pagina del libro di Messori e Cazzullo, Il Mistero di Torino, uno dei libri più belli che abbia mai letto sulla nostra città e che mi è stato restituito proprio ieri da uno zio a cui lo avevo prestato. Un ottimo libro da gustare insieme ad una tazza di tè in questa bellissima giornata fredda e bianca.



Questa parte parla di Torino capitale d'Italia:



"Non era scritto da nessuna parte che Torino non potesse restare la capitale d'Italia. Eppure non solo questa possibilità apparirebbe oggi stravagante, ma neanche allora fu presa in seria considerazione.



Qual è il criterio per cui una città è capitale? Non quello demografico (altrimenti la capitale dell'Italia unificata sarebbe stata Napoli). Non quello economico (e allora sarebbe stata pronta Milano). Non quello storico-culturale (se Roma città a vocazione universale era stata il centro irradiante delle due anime della cultura europea - la cristiana e l'umanista -, la patria dela lingua e dell'arte italiana, la città che aveva imposto il suo modo di parlare, pensare, edificare, raffigurare l'uomo e le cose era ed è Firenze). In tutta Europa, laddove in età moderna, tra la fine del XV e la fine del XIX secolo, sono sorti gli Stati nazionali, è diventata capitale la città d'origine della dinastia regnante; che quasi mai coincide con il centro geografico del paese. (Solo Madrid è in mezzo alla Spagna. Parigi, Londra, Berlino sono in posizione eccentrica. Da quando il confine orientale tedesco è fissato sulla linea dell'Oder-Neisse, poi, Berlino è in un angolo non meno di Torino.) Tieni conto pure che, nell'Italia preunitaria, in un angolo Torino non era affatto. Era anzi al centro di un territorio-ponte tra le due grandi potenze europee, la francese e l'austriaca, un territorio che a occidente si spingeva oltre le Alpi con la Savoia (amputata per la ragione del nuovo Stato, quello italiano) e a oriente si affacciava sul Ticino, a pochi chilometri da Milano (all'avvio del Risorgimento Torino e Milano sono più o meno equivalenti per peso demografico, entrambe medie città europee di circa 140 mila abitanti). E' l'unificazione a collocare Torino in un angolo; neppure quello favorevole, dopo lo scoppio della guerra doganale con la Francia.



La capitale se ne andò nella stessa maniera con cui l'Italia sarebbe entrata nella prima guerra mondiale (e che avrebbe determinato in seguito molte altre cose), con un trucco di palazzo. Il Presidente del Consiglio Marco Minghetti si mosse alle spalle del re: trattò con Napoleone III il graduale ritiro delle truppe francesi da Roma, premessa del suo passaggio all'Italia; in cambio l'imperatore, che non aveva dimenticato i fischi del 1859, otteneva che il Regno si desse un'altra capitale, che non fosse né Roma né Torino. Vittorio Emanuele II seguiva i negoziati dal castello di Sommariva Perno, e fu informato della clausola il 13 agosto 1864, all'ultimo momento."



(Messori, Cazzullo, Il Mistero di Torino, Mondadori, 2004, p.450-451)



domenica 7 dicembre 2008

La cazzata del giorno

La Iervolino che dice di non avere nulla a che fare con la questione morale del PD nello stesso giorno in cui pubblicano le classifiche della qualità della vita con Napoli terz'ultima città d'Italia e un sondaggio del Mattino riporta che l'84% dei napoletani è insoddisfatto della giunta comunale. Roba da italiani.



mercoledì 3 dicembre 2008

Mai più uccisi perché gay

Hate
Questo il titolo dell'iniziativa promossa dall'Arcigay di Roma come reazione alle ultime dichiarazioni retrograde, discriminatorie, egoiste e vergognose del Vaticano.



"Questa posizione ha turbato fortemente la nostra comunità, e non solo.
Tantissimi sono i messaggi di solidarietà che ci stanno arrivando -
afferma il presidente di Arcigay Roma, Fabrizio Marrazzo - il Vaticano
continua a offendere la vita di milioni di persone criminalizzandone
l'orientamento sessuale. Una posizione contraria a qualsiasi concetto
evangelico di amore e fratellanza"

Liberazione
, il quotidiano di Rifondazione, apre oggi con il titolo "Boicottiamo il Vaticano" - un articolo in cui Sansonetti cita un passo del Vangelo di Giovanni (il famoso passo del "Chi è senza peccato scagli la prima pietra") e accusa il Vaticano di sostenere posizioni fondamentaliste (e di fomentare anche la violenza, aggiungerei io).



"Noi proponiamo una protesta di massa. Potremmo invitare tutti i
cittadini a vestirsi con una maglietta o un indumento rosa - come la
stella che era imposta ai gay nei lager - e andare a manifestare in
Vaticano all’ora dell’Angelus".



Io direi che sarebbe una straordinaria idea.



lunedì 1 dicembre 2008

L'acume politico del Vaticano

Novat
Notizia fresca fresca su lastampa.it: un appello della Chiesa (Cattolica ovviamente, ne avevate qualche dubbio? Le altre non si sentono mai, sarà un caso? un'anomalia? sarà che magari pensano a fare le Chiese e non a fare politica?) affinché la proposta della Francia all'ONU per una depenalizzazione dell'omosessualità non venga accolta.



Da notare che nel mirabolante mondo psicologico di tale Mons. Migliore c'è qualcosa che non quadra tanto. Prima afferma che "nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione", e poi però si oppone ad inserire gli omosessuali tra le categorie protette dalle discriminazioni perché ciò verrebbe a creare nuove discriminazioni (??). Un esempio di nuova discriminazione? "Gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso
come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni".



Ah brutte faine vaticane infide, ecco il vostro programma politico che tenete sempre sotto la vostra bibbia.



Fanno sempre in fretta a parlare di non discriminazione ma intanto sul terreno politico le faine vaticane sono sempre le prime a muoversi in difesa della discriminazione. Dovrebbero invece soltanto passare più tempo a discriminare le loro cervella, perché nel corso dei secoli sono sempre rimaste intrise di perbenismo e cattiveria.



Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...