mercoledì 15 aprile 2009

Referendum sì, referendum no

Da giorni sono dibattuto su cosa votare al referendum che si terrà in un weekend non ancora ben precisato di giugno. Io sostengo fortemente l'accorpamento con le elezioni amministrative ed europee del 6/7 giugno, visto che si risparmierebbe una cifra tale di soldi che in questo periodo tra crisi ed emergenze ne abbiamo proprio bisogno. Ma a parte questo, sto cercando di individuare motivi pro e motivi contro il sì o il no al referendum.


Ma di cosa parliamo innanzitutto?



Il 1° e il 2° quesito: premio di maggioranza alla lista più votata e innalzamento della soglia di sbarramento. Il 1° ed il 2° quesito (valevoli rispettivamente per la Camera dei Deputati e per il Senato) si propongono l’abrogazione del collegamento tra liste e della possibilità di attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni di liste. In sintesi: la lista più votata ottiene il premio che le assicura la maggioranza dei seggi in palio, le liste minori ottengono comunque una rappresentanza adeguata, purché superino lo sbarramento.


Se i primi due quesiti venissero approvati (votando quindi ) si configurerebbe un assetto politico molto stabile. E tendenzialmente bipartitico.



Il sistema elettorale risultante dal referendum spingerà gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando la riaggregazione nel sistema partitico. Si potrà aprire, per l’Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica. La frammentazione si ridurrà drasticamente. Non essendoci più le coalizioni scomparirà l’attuale schizofrenia tra identità collettiva della coalizione e identità dei singoli partiti nella coalizione. Con l’effetto che i partiti sono insieme il giorno delle elezioni e, dal giorno successivo, si combattono dentro la coalizione. Sulla scheda apparirà un solo simbolo, un solo nome ed una sola lista per ciascuna aggregazione che si candidi ad ottenere il premio di maggioranza.


Però, stando così le cose, il primo partito del paese potrebbe prendere anche solo il 10% ed avere il controllo netto delle due camere.



[I quesiti] propongono di consentire ad una minoranza di governare il Paese, stabilendo che la lista che ottiene più voti di tutte le altre conquisti la maggioranza assoluta della Camera. In via di principio se un partito ottiene il 10 % e tutti gli altri percentuali al di sotto di quella cifra, a quel partito sarebbe consegnata la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Sostanzialmente si ripropone, in peggio, il principio della legge Acerbodel 1923, voluta da Mussolini per assicurarsi la vittoria elettorale, ma con una differenza fondamentale: mentre la legge fascista prevedeva almeno la soglia minima di voti del 25% per aggiudicarsi il premio di maggioranza, il testo del referendum non prevede alcun limite inferiore.


Vogliamo davvero che un partito singolo (come Pdl o Pd) abbia il monopolio del Parlamento e possa fare i propri cosiddetti porci comodi? Vogliamo davvero dargli tutto questo potere? In Norvegia e in Scandinavia in generale ci sono 8/9 partiti che riescono a governare anche grazie a coalizioni di minoranza che ricercano una maggioranza trasversale variabile a seconda della materia trattata. Questa è democrazia. Da noi però questo comportamento è difficile che si riesca ad ottenere quando si litiga anche dentro la propria stessa coalizione.



"In un sistema già squilibrato dall'estrema debolezza dell'opposizione, sarebbe un passo verso il partito unico. Non c'entra l'antiberlusconismo o le grida di regime. C'entrano i numeri. Alle valutazioni attuali, e con la spinta del premio di maggioranza, il Pdl potrebbe permettersi di varare al prossimo giro un bel governo monocolore. Di cambiare la costituzione senza neanche dover scomodarsi ad allestire un tavolo, non diciamo con Franceschini, ma nemmeno con Bossi." (Stefano Cappellini su il Riformista)


Inoltre, vogliamo davvero un bipartitismo all'americana? Le sfumature che portano i partiti di minoranza qualificata sono tante, e sono importanti. Un parlamento come quello americano che contenga solo rappresentanti di due partiti è un po' sterile per uno stato europeo. Mi immagino invece un parlamento che contenga Pdl, Udc, Pd e un partito di sinistra, e questo mi pare un ottimo compromesso. Niente partitini da 2%, ma allo stesso tempo spazio a quelli che il 5% lo raggiungono.



L’obiettivo di indurre diversi soggetti politici a fondersi in grandi partiti non impedisce alle istanze minoritarie di avere un loro ruolo all’interno degli stessi. In tutte le grandi democrazie, anche laddove a contendersi la possibilità di governare sono soltanto due o tre partiti, sono presenti anime e correnti diverse all’interno di essi. Il fatto poi che si scoraggi il multipartitismo estremo non è da biasimare. È sin dall’epoca dell’Assemblea costituente, infatti, che si deprecano l’instabilità e la frammentazione dei governi di coalizione.
Il sistema elettorale che risulterebbe dall’approvazione dei quesiti referendari è una sfida per tutti i partiti, grandi e piccoli. Questi ultimi, in particolare, si troverebbero a dover scegliere se difendere le proprie istanze all’interno di partiti più ampi, arricchendo, in un processo di sintesi, l’identità degli stessi, ovvero concorrere autonomamente nelle elezioni, cosa che rimarrebbe comunque possibile, previo superamento delle soglie di sbarramento (del 4%e dell’8%).  


Il terzo quesito invece di cosa tratta?




Il 3° quesito: abrogazione delle candidature multiple e la cooptazione oligarchica della classe politica. Oggi la possibilità di candidature in più circoscrizioni (anche tutte!) dà un enorme potere al candidato eletto in più luoghi (il “plurieletto”). Questi, optando per uno dei vari seggi ottenuti, permette che i primi dei candidati “non eletti” della propria lista in quella circoscrizione gli subentrino nel seggio al quale rinunzia. Egli così, di fatto, dispone del destino degli altri candidati la cui elezione dipende dalla propria scelta. Se sceglie per sé il seggio “A” favorisce l’elezione del primo dei non eletti nella circoscrizione “B”; se sceglie il seggio “B” favorisce il primo dei non eletti nella circoscrizione “A”. Nell’attuale legislatura, questo fenomeno, di dimensioni veramente patologiche, coinvolge circa 1/3 dei parlamentari. In altri termini: 1/3 dei parlamentari sono scelti dopo le elezioni da chi già è stato eletto e diventano parlamentari per grazia ricevuta. Un esempio macroscopico di cooptazione! Inoltre i parlamentari subentranti (1/3, come si è detto) debbono la propria elezione non alle proprie capacità, ma alla fedeltà ad un notabile, che li premia scegliendoli per sostituirlo. Con l’approvazione del 3° quesito la facoltà di candidature multiple verrà abrogata sia alla Camera che al Senato.


Quindi abolizione delle candidature multiple, che è un'ottima cosa, ma è altrettanto vero che ciò non dà libero accesso alle tanto agognate preferenze.



Non si risolve il problema delle liste bloccate dei candidati, che continuerebbero comunque ad essere imposte dall’alto dalle segreterie dei partiti senza alcuna possibilità per i cittadini di esprimere le preferenze.


Insomma, io non ho ancora una pensiero ben chiaro, soprattutto sui primi due quesiti. Credo che la domanda che ognuno di noi debba porsi per decidere come votare è "quanta della mia libertà di scelta permetto sia scavalcata in nome dell'azione governativa?", o meglio "quanto è più importante che il mio paese discuta su cosa fare rispetto a quanto poi effettivamente riesca a fare?". Attualmente in Italia si discute tanto e si combina poco... ma se si combinasse tanto e si discutesse poco, la democrazia verrebbe meno. E' vero che sarebbe democrazia l'andare a votare il nostro candidato (o il male minore), ma è democrazia anche la discussione in Parlamento, che in caso di sistema bipartitico verrebbe meno (e il confronto, nella migliore delle ipotesi, si trasferirebbe all'interno del partito di maggioranza).


Tutte queste considerazioni comunque sono a prescindere dal concetto base che ognuno di noi DEVE andare a votare perché il voto è un diritto ed è un dovere, e soprattutto è l'unico modo che abbiamo per esprimere il nostro parere a livello nazionale.




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Update: dopo averci riflettuto su, nuovo post di conclusioni sul referendum.



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