Ho chiesto ieri a un mio amico che lavora nel settore Parts&Services.
La sua risposta, vale la pena citarla testualmente:
Aria? Hai presente nei film quando aprono le tombe dei faraoni e viene fuori una ventata di tristezza?
Quella.
Aria? Hai presente nei film quando aprono le tombe dei faraoni e viene fuori una ventata di tristezza?
Quella.
Un lettore scrive:
«Finalmente si è riusciti a dire un "no" ad un nuovo insediamento commerciale che avrebbe distrutto migliaia di mq. di terreno agricolo. Era ora che si incominciasse ad imboccare questa strada. L'Ikea ha già aperto un mega centro a Collegno, con relativa scomparsa di verde e campi, il secondo lo possiamo tranquillamente evitare. Se proprio vogliono insediarsi in provincia, si cerchi una zona industriale abbandonata, una zona dove sono stati costruiti capannoni in cemento, adducendo la solita scusa dei posti di lavoro e poi lasciati li, ad invecchiare. Nell'articolo su La Stampa, si dice che negli Stati Uniti i terreni quasi li regalano, ma si dimentica che a fronte di un quintuplo della nostra popolazione, gli Usa hanno 31volte il nostro territorio e in Slovenia a fronte di un quindicesimo del nostro territorio, la popolazione slovena è un trentesimo di quella italiana. Pertanto di terreno agricolo, noi, non possiamo più sprecarne. Tra l'altro parliamo di alcuni tra i terreni più fertili d'Italia, e questi terreni sono quelli che permetteno, oltre al nostro sostentamento, di coltivare quei prodotti che tanto sponsorizziamo con il Salone del Gusto». ALESSANDROSORRENTINO
Leggere Gallino su La Repubblica Torino profetare che la crisi finirà con il favorire settori come quelli dell'energia e dell'ecologia in qualche modo fa sembrare il tutto più sostenibile.
Non risolverà tutti i problemi, ma è un segnale che fa sperare.
Il Presidente del più grande stato del mondo che rivolge la propria fiducia e quella del suo paese a Torino è un grande onore e una grande responsabilità, e una possibilità in più di uscire più in fretta da questa crisi economica.
Spero solo non ci si dimentichi ora di tutte quelle persone che da oggi fino a fine Agosto saranno per 13 settimane consecutive in cassintegrazione.
Non so se sono nel giusto o nel torto.
Ho saputo l'altro giorno che una persona a me vicina ha appena comprato un'automobile usando gli incentivi statali, ha comprato una Renault.
Ma come? Noi in Fiat stiamo morendo tra la cassintegrazione e la mobilità, e tu vai a comprare una vettura di un concorrente straniero? - è stato il mio pensiero.
Che è più o meno lo stesso ragionamento che hanno fatto gli inglesi della raffineria di Lindsey che scioperavano due settimane fa perché una società italiana aveva vinto un loro appalto.
Protezionismo: bello e buono solo quando conviene a noi?
Continuando il tema del mio post di una settimana fa sul licenziamento dei dipendenti Motorola, dopo una settimana di silenzio stagno in cui le uniche parole che sentivamo noi al secondo piano erano quelle della sicurezza che, al cancello, imperterrita, domandava il tesserino per lasciarti entrare, sono finalmente arrivati i primi movimenti. I primi gesti, espressioni di malcontento, di delusione per una sorte che pare essere stata decisa nel giro di un fine settimana. O poco più.
Le bandiere dei sindacati appese all'ingresso. Uno striscione che recita "SVENDITA CERVELLI" appeso alla balconata del primo piano. E un logo fenomenale appeso alle finestre degli uffici: sad Moto. Sad Moto è l'espressione grafica di quello che era un grande progetto, apprezzato da tutto l'hinterland torinese, un piano che doveva portare Torino ad essere un polo di eccellenza nella tecnologia - un piano che ora è fallito.
Pare. Almeno per ora.
Rimangono solo le parole di consolazione di Mercedes Bresso (veritiere, ma sempre di mera consolazione... almeno per ora):
«Il Piemonte - ha spiegato - ha un’economia più aperta rispetto ad
altre realtà italiane. Questo significa anche essere maggiormente
esposti a crisi originate all’estero. La chiusura del centro di ricerca
della Motorola - ha esemplificato - non è un fallimento del nostro
sistema, ma la conseguenza del fatto di avere aziende straniere che
investono sul nostro territorio. Tali aziende hanno ovviamente il loro
core business altrove, e di fronte alle difficoltà chiudono quello che
avevano aperto da noi».
«Però essere aperti - ha concluso
Mercedes Bresso - vale nei due sensi, saremo anche i primi quando
arriverà il momento della ripresa. E tornando alla Motorola, non ci
diamo ancora per sconfitti: avere a Torino 400 ingegneri e tecnici di
elevata qualità in cerca di lavoro potrebbe attirare sul nostro
territorio altre imprese del settore».
Intanto l'unico a tenere campo qui in via Cardinal Massaia è sad Moto.
Almeno per ora.
(intervista: lastampa.it)
(foto: motorolainside)
Ieri, come ogni mattina, arrivo al lavoro passando, come sempre, dall'ingresso posteriore. Al posto del portone spalancato però, ad accogliermi trovo un uomo tutto vestito di nero della sicurezza che mi fissa e con tono perentorio mi intima: "tesserino". Io rimango stranito, tesserino di cosa? Io non ne ho mai avuto uno.
Poi mi viene in mente che la mia società condivide il palazzo con la Motorola (o, meglio, ne affitta alcuni uffici al secondo piano), e mi torna alla mente quello che avevo appena letto su La Stampa al bar, proprio cinque minuti prima: l'articolo spiegava che la Motorola temesse che gli impiegati licenziati o licenziandi portassero via tutto l'arraffabile: portatili, cellulari, altre diavolerie tecnologiche... come alla Lehmann Brothers qualche settimana fa. E per questo avevano persino fatto sparire tutti gli scatoloni dall'ufficio.
E ora anche la sicurezza all'ingresso.
Dichiarando di lavorare al secondo piano, la guardia mi fa entrare e lì vedo tutti lì, al pian terreno, davanti all'ingresso, gli impiegati della Motorola. Ci sarà una riunione in mattinata per decidere il futuro del centro torinese. Le voci di corridoio dicono che la comunicazione del fatto che ci sarebbero stati esuberi fosse arrivata venerdì da un responsabile, che pare avesse detto "ci sarà una riunione lunedì, e non ci saranno buone notizie". Patatrak. Una bomba così, dal nulla. Just like that.
Solo che venerdì la peggiore delle ipotesi contemplata pare fosse il licenziamento della metà degli impiegati del centro torinese, mentre lunedì mattina si parla anche della possibilità di un licenziamento totale e delle chiusura del centro. Un centro che non ha nemmeno rappresentanza sindacale, presumo perché i rapporti con la società americana sono sempre filati lisci.
Rimango abbastanza sconfortato dall'atmosfera che si respira. Il giorno prima era scoppiato il caso Michelin, poi la Dayco, ora anche la Motorola, con cui per giunta ho un contatto diretto quotidiano. Anche nel mio ufficio l'atmosfera di quella mattina non è delle migliori. Aspettiamo notizie su lastampa.it, ma più di tutti aspettiamo delle reazioni dai piani di sotto.
Non sentiamo nulla però - almeno finché non arriva un'e-mail ad un mio collega da parte di una sua amica impiegata alla Motorola: la riunione è finita. Il centro Motorola torinese chiude.
Sono stati tutti licenziati.
Just like that.