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domenica 18 agosto 2013

Chaumont e Bardonnèche, quando la Valsusa era francese

di Claudio Gorlier per lastampa.it


Una mattina, esattamente 300 anni or sono, i miei antenati di Rollieres, alta valle di Susa, si svegliarono e scoprirono di non essere più francesi del Delfinato. Grazie al trattato di Utrecht, del 12 luglio, la valle di Susa (e la val Chisone) erano passate al fresco re Vittorio Amedeo di Savoia.  
Qui salta fuori una prima curiosità: la vicenda dei toponimi, ovviamente francesi. Per motivi tuttora discussi, in valle di Susa soltanto tre vennero italianizzati nel corso del secolo: Chiomonte (Chaumont), Bardonecchia (Bardonnèche) e Cesana (Cézanne). Tra l’altro, nell’ancora Cézanne Vittorio Alfieri trascorse un inverno, come narra nella Vita. In parallelo, il Cluzon divenne Chisone, Pragelas Pragelato, e Fenestrelles perdette la s finale. Con un criterio del tutto irrazionale il fascismo italianizzò una serie di località: Oulx (Ulzio), Salbertrand (Salabertano), Sauze (Salice) che recuperarono l’originale nel dopoguerra. 

I vecchi toponimi  
Per vostra curiosità, posso chiarirvi la matrice di toponimi che vigorosamente resistono. Champlas du Col, Champlas Janvier si rifanno al vecchio francese a dignificare «campo» e alla loro posizione. In quanto a Champlas Seguin, pare che si tratti di una antica variante di Suivant, seguente, data la sua posizione e la sua nascita. Volete altro? Thures deriva dal celtico Thor, porta, mentre la Dora si riconduce ancora al celtico Duria, corso d’acqua. Secondo una vecchia tradizione locale, la Dora e la Durance, che nascono sullo stesso altipiano del Monginevro, prima di discendere si scambiano ciascuna una battuta. «Moi», dice la Dora, «je vais féconder l’Italie», e la Durance replica: «Moi je vais ramage (devastare) la France». 

La II guerra mondiale  
Ma veniamo alla storia recente. Alla fine della Seconda guerra mondiale, la Francia gollista rivendica una risistemazione dalla frontiera con l’Italia. Per ciò che riguarda la valle di Susa, vorrebbe uno spostamento almeno fino al colle di Sestriere. Nasce una organizzazione clandestina, finanziata e controllata appunto dalla Francia. Si chiama «Rassemblent des anciens Dauphinois», riferendosi alla originale appartenenza di quelle valli. Io, ragazzo, e mio padre riceviamo una tessera in bianco, di ignota ma ovvia origine; senonché carabinieri e polizia identificano gli animatori, e li arrestano.  

Il «no» degli Usa  
Gli Stati Uniti scoraggiarono perentoriamente la Francia dalle sue aspirazioni. Da un lato, lo spostamento avrebbero aperto la strada verso la pianura padana; dall’altro, esisteva il timore che il partito comunista francese, raggiunti i vertici, potesse sfruttare la situazione. Così, la Francia dovette accontentarsi di una modifica territoriale di proporzioni sostanzialmente simboliche. Una riguardava la valle stretta a ridosso di Bardonecchia, addirittura priva di collegamenti stradali efficaci con la Francia. L’altra aveva un valore storico non indifferente, ma nulla più. Mi riferisco al monte Chaberton, fino alla guerra il più alto forte del mondo. Ma, purtroppo, le strutture del forte erano ormai obsolete, e allora nel giugno del 1940, una batteria francese, piazzata sul fondo valle, colpì il forte e lo mise fuori combattimento. Sopravvivono i resti delle torri del forte, e lo Chaberton è oggetto di tranquille ascensioni e competizioni sportive, specie ciclistiche. 
Non dimentichiamo, però, il marchio francese nelle valli torinesi. Intanto, gli splendidi forti di Fenestrelle e di Exilles (toponimo intatto) e poi la raffinata architettura religiosa. Se vi capita, visitate la chiesa di Bousson, e il caratteristico santuario di San Restituto, tra Rollieres e Sauze di Cesana. Quel santo è del tutto immaginario, e si chiamava, originariamente, Réstitué. Ma il monumento è un autentico gioiello. 

La battaglia dell’Assietta  
Dunque, la Francia è rimasta nei suoi confini, ma può a buon diritto celebrare le pagine di storia lasciate nelle nostre valli, e che i nomi originari conservano o, si potrebbe sostenere, difendono. Rendiamole omaggio, anche se le impedimmo di rifarsi sconfiggendola sull’Assietta, e facciamolo, per cortesia, pronunciando giusti i nomi originari, che hanno resistito trecento anni. Se andate a sciare a Sestrières (si scrive proprio così) non dite che vi piace «il Sèstriere»... 

sabato 13 aprile 2013

28.


Dal 19 al 25 aprile a Torino torna il gay film festival, arrivato alla ventottesima (no, dico VENTOTTESIMA) edizione. Io non ci sarò perché sarò via, ma voi andateci mi raccomando.

giovedì 7 febbraio 2013

Crisis management: l'errore da non fare


Ieri sulla Stampa, sezione Quartieri, è uscita questa breve di Andrea Ciattaglia sulla chiusura forzata del bar Break Point di via Giulia di Barolo, davanti alla Chiesa di Santa Giulia:


Ieri sera per caso sono passato lì davanti mentre andavo al Margò. Mi è venuta in mente la news che avevo letto la mattina, ero a piedi e quindi ho fatto caso ai cartelli appiccicati sulle serrande del bar. Peccato che attaccati a tre delle quattro saracinesche del locale ci fosse questo avviso:
 

Mentre sull'ultima dietro l'angolo invece ho trovato questo, più criptico ma in linea con la notizia della Stampa:


Lungi da me esprimere un giudizio sulla vicenda giudiziaria, di cui peraltro non so nulla. La mia è una constatazione di puro crisis management: cercare di camuffare un provvedimento della polizia in una chiusura per manutenzione straordinaria è proprio una caduta di stile (anche per un bar che di stile non ne ha mai visto molto, almeno dopo gli anni 80 direi).

Sarebbe stato più dignitoso non scrivere nulla, o scrivere un cartello molto più generico ("siamo chiusi fino al 12/2"), o lasciare il solo cartello della polizia che è assolutamente incomprensibile e quindi neutro. In questi casi cercare di mascherare l'errore o il motivo di vergogna è decisamente controproducente, mentre la totale trasparenza è la soluzione per uscirne a testa alta conservando più o meno intatta la propria reputation. Anche perché, diciamocela tutta, al giorno d'oggi basta l'ultimo dei blogger che legge La Stampa la mattina e ti passa lì davanti la sera per screditarti davanti a tutta la città.

venerdì 16 novembre 2012

Lo scomodo accordo Torino - San Pietroburgo


San Pietroburgo è una città bellissima. L'ho visitata per una settimana nel 2005 quando vivevo a Mosca da 2 mesi per un corso intensivo di russo.

Arrivando dalla claustrofobica, grigia, trafficata, sovietica Mosca, San Pietroburgo mi era apparsa un paradiso sceso sulla madre Russia - ariosa, verde, blu, ordinata persino sulla Prospettiva Nevskij, le case basse stile veneziano che ti facevano respirare, questo fiume che era dappertutto, i bambini che giocavano per strada (cosa improponibile a Mosca), coppie di innamorati sul lungo Neva al tramonto.

In tutte le cose si percepiva l'influenza europea che rendeva la città un unicum in tutto il mondo. Una metropoli che si reggeva su una combinazione straordinaria di elementi di storia imperiale (è stata capitale dell'impero russo per tre secoli), del passato sovietico da patria di Lenin e appunto dell'influenza europea introdotta da Pietro il Grande.

Ma l'influenza europea non è arrivata (ancora) su un punto cruciale, quello dei diritti civili. San Pietroburgo ha firmato un anno fa una bieca e retrograda legge che prevede multe e sanzioni a tutti i gay e le lesbiche che professano per strada il loro orientamento sessuale in presenza di minori. Questo comprende non solo gli scambi d'affetto ma anche manifestazioni civili come il gay pride, che è stato di fatto equiparato alla pedofilia.

Nel trambusto internazionale che è seguito all'approvazione della legge, in Italia l'associazione "Certi Diritti" ha anche chiesto al comune di Milano di revocare il gemellaggio con San Pietroburgo.

Ma è passato un anno e quella legge è ancora lì. Eppure ieri Torino ha firmato un accordo bilaterale di collaborazione in ambito economico, culturale, turistico e universitario con la seconda città russa.

L'accordo di per sé non ha niente di sbagliato: Torino ha una lunga tradizione di rapporti internazionali e avere una partnership privilegiata con la metropoli che è la porta europea al mondo russo non può che portare benefici alla nostra città.

Però Torino è anche, tra le grandi città italiane, la più all'avanguardia nella battaglia per i diritti degli omossessuali e non posso credere che la questione di questa legge che di fatto ripenalizza l'omosessualità sia stata dimenticata da Fassino e dai suoi assessori.

lunedì 29 ottobre 2012

Turinhenge



Il Sole che sorge esattamente perpendicolare alla griglia est-ovest delle strade torinesi è sempre spettacolare.
Manhattanhenge ci fa un baffo.
(la foto è presa in via Cavour)

lunedì 22 ottobre 2012

Confessioni di un ciclista urbano


Sabato pomeriggio, mentre stavo correndo sul lungodora in direzione del parco della Colletta, ho visto due uomini della polizia stradale in moto dapprima affiancare un ciclista, poi parlargli mentre ancora erano in movimento, e infine fermarlo. Uno dei due agenti ha tirato fuori il blocchetto delle multe e io, incredulo per quanto stava accadendo, mi sono avvicinato per capire come stavano le cose.

Il ciclista era stato fermato perché dal lungodora Voghera aveva svoltato sul ponte per via Carcano passando con il rosso. Non ci potevo credere. Multare un ciclista è il modo più facile per guadagnarsi la giornata, ho pensato. Un po' come quando i bulli a scuola se la prendono con i più deboli per farsi dare il pranzo. Evidentemente devono portare a casa un tot di multe a turno e un ciclista è una preda golosa: lo cogli sul fatto, non può scappare, e un po' ci godiamo pure a massacrare sti stronzi de ciclisti. Ho guardato i due agenti della polizia con gli eyes of shame, avrei voluto anche mettermi a protestare ma non riuscivo a emettere un cazzo di suono uno da questa maledetta gola.

Una volta ripreso a correre, mi sono messo a pensare e ripensare alla vicenda. In fondo il ciclista aveva commesso un'infrazione ed era giusto che venisse punito. Togliendo tutto ciò che c'era di emotivo e lasciando il solo raziocinio all'opera, era una conclusione lampante. Sbagli e paghi. Però allora dovremmo multare anche tutti i pedoni che attraversano con il rosso, no?
Forse ci sono, come sempre, due diversi livelli di legge: uno legale e uno morale/sociale. Nessuno multerebbe un pedone che passa con il rosso (ho controllato, e Google dice che i casi si contano sulle dita di una mano), anche se nessuno potrebbe opporsi a una multa del genere perché legalmente valida senza se e senza ma.
E se questa legge morale vale per il pedone che è utente debole della strada, perché non può valere anche per i ciclisti, anch'essi utenti deboli?

Lasciando questa domanda per aria, ho cambiato punto di vista per osservare la questione da un altro lato.
Ho pensato che noi ciclisti abbiamo questo senso di superiorità, di missione, e, allo stesso tempo, di vittimismo che insieme sono un mix letale perché portano alla distorsione della realtà e spalancano la porta all'integralismo più estremo (ok il post linkato è davvero un po' estremo, ma la logica sottesa è la stessa), ed è mia opinione che i ciclisti lo stiano diventando sempre di più.
Osiamo manovre azzardate, ci barcameniamo con destrezza tra mille gli ostacoli urbani, tagliamo strade magari senza volerlo, abbiamo un'innata fiducia nelle nostre capacità, pensiamo che per noi qualsiasi eccezione si possa fare, e tutti quelli che si frappongono fra noi e il nostro traguardo sono degli incompetenti, degli inquinatori, schiavi dell'abitudine e per questo meno degni di noi di muoversi nella città, mentre noi abbiamo sempre ragione e dovremmo essere intoccabili. Un po' come avrebbe dovuto esserlo quel ciclista di lungodora Voghera.

Il ragionamento che facciamo è "non solo io mi faccio il culo ad andare in bici in una città che alle bici non concede nulla, facendo quello che sembra la prova del fil rouge di giochi senza frontiere ogni singolo giorno; mi sacrifico anche per la patria per renderti il mondo più verde e pulito; faccio un favore persino all'amministrazione comunale perché ti trancio via parte del traffico e delle PM10, e tu osi togliermi l'unica cosa che mi tiene ancora in sella, vale a dire la libertà?"

La libertà è la gioia di ogni ciclista, quella scintilla che ti fa innamorare delle due ruote e che nessuna sfilza di di ostacoli e sfighe urbane riesce a eguagliare. La libertà di non essere confinato sulla strada. La libertà di poterti fermare per fare una foto. La libertà di non essere bloccato nel traffico. La libertà di poter non sottostare a (tutte) le regole. Come i semafori rossi. Con i miei colleghi ciclisti, uno dei mantra che si è affermato nel tempo è "se ti fermi ai semafori rossi, allora la bici a che serve?"

Eppure il senso di ingiustizia c'è e si sente tanto. Perché al pensiero di quel povero sventurato del lungodora si affianca l'immagine del centinaio di macchine in doppia fila in Piazza Vittorio il sabato sera. E allora uno si chiede davvero se non valga la pena di abbandonarsi alla lotta senza quartiere più totale, come quel ciclista che confessa di aver sputato sul vetro della macchina parcheggiata sulla pista ciclabile.

Il punto è che per i ciclisti a Torino c'è davvero pochissimo spazio e ancor meno considerazione. E quindi spazio e considerazione vengono presi con la forza, o barattati con altri privilegi che pedoni e auto non possono avere.

Ma gli estremismi e gli integralismi, a cui è facile cedere viste le condizioni attuali, non portano comunque a nulla, se non al peggioramento della situazione.

Nella città ideale il cittadino può essere di volta in volta pedone, ciclista e automobilista, a seconda del tragitto, della destinazione e delle necessità. Torino però non è la città ideale. 
In Italia la dualità auto-pedone è ormai consolidata da decenni, mentre la bicicletta è un mezzo nuovo. Fino a cinque anni fa in effetti i ciclisti urbani erano davvero pochi. Il cambiamento quindi non deve essere solo a livello pratico e concreto ma anche psicologico: degli amministratori prima, e dei cittadini poi.

Ma è qui che l'amministrazione dovrebbe fare la sua parte, promuovendo l'uso della bicicletta e agevolando chi usa la bici come mezzo di trasporto quotidiano. Qualcosa si è già fatto, altri progetti sono on the way, ma il Comune sta facendo tutto senza convinzione. Lo sta facendo, mi sembra, solo perché ci sono le associazioni che rompono le palle. Come se si parlasse sempre dei ciclisti della domenica (i famosi) e non di quegli altri.

Il pezzo mancante della questione, a mio parere, è proprio questo: l'amministrazione comunale non ha capito che la bici può essere (ed è già) usata sistematicamente come mezzo di trasporto quotidiano, e che incentivare questo uso gioverebbe a tutta la città per le conseguenze su traffico, PM10, pulizia, stress, salute e altro; insomma non ha capito quegli assiomi che ogni ciclista urbano ha fatto propri. E finché ci si parla su due livelli diversi non si arriverà mai a capirsi. E la strada mi pare ancora lunga.

mercoledì 10 ottobre 2012

Che aria tira in Fiat?


Ho chiesto ieri a un mio amico che lavora nel settore Parts&Services.
La sua risposta, vale la pena citarla testualmente:

Aria? Hai presente nei film quando aprono le tombe dei faraoni e viene fuori una ventata di tristezza?
Quella.

giovedì 13 settembre 2012

16-22 settembre: settimana europea della mobilità sostenibile

Come ogni anno, la settimana europea della mobilità sostenibile vede Torino impegnata a promuovere uno stile di mobilità alternativo e più attento alle tematiche ambientali, ma anche sociali ed economiche.

Tra le iniziative degna di note, domenica 16 settembre si potrà viaggiare gratis tutto il giorno su tram e bus e la metro sarà utilizzabile per l'intera giornata convalidando un solo biglietto.

La giornata clou della settimana sarà comunque sabato 22 settembre "In città senza la mia auto", quando si svolgeranno innumerevoli attività sparse per il territorio cittadino. Il centro dell'evento sarà comunque San Salvario, dove verrà chiusa al traffico l'area centrale di Corso Marconi dalle 6 alle 24, mentre dalle 15 alle 24 sarà chiusa anche l'area compresa tra Corso Vittorio - Corso Marconi - Via Madama Cristina - Via Nizza.

Le attività e gli interventi di sabato sono davvero tantissimi, per cui vi rimando all'elenco ufficiale del Comune.

giovedì 30 agosto 2012

Piazza Carlina, una grigia mattinata di fine agosto

Notate qualcosa di diverso?


Casa Gramsci rivede la luce dopo non so quanto tempo di copertura per lavori di restauro della facciata (e crolli).
Ho scoperto che c'è anche un sito, con un blog e una pagina facebook per seguire i lavori del cantiere fino al varo del nuovo NH hotel.

mercoledì 1 agosto 2012

L'aeroporto di Torino esiste ancora?

Analisi puntuale delle ragioni per cui Caselle retrocede inesorabile nella classifica degli scali italiani, superata persino da Bari e Verona (sigh).

La crisi economica ha sicuramente inciso su questi risultati ma il vero problema della perdita di traffico dell’aeroporto è riconducibile, come più volte abbiamo scritto su Lo Spiffero, all’incapacità di Sagat di produrre nell’ultimo decennio una politica di sviluppo dello scalo e dotare l’aeroporto dei collegamenti di cui la città e la Regione abbisognano per crescere e svilupparsi, il turismo di cui tanto si parla in primis [...] La Sagat però non è l’unica colpevole, parimenti sul banco degli imputati devono salire il Comune di Torino e la Regione Piemonte, se vogliamo ancora più responsabili in quanto non hanno mai elaborato e tanto meno richiesto alla società di gestione una strategia ed hanno fatto abortire la possibilità di avere a Caselle una base di Ryanair, che avrebbe sicuramente avuto un impatto positivo.

In questa situazione di dati di traffico negativi e di collegamenti scarsi non possiamo dimenticarci dell’insuccesso della gara per la vendita delle quote detenute nella Sagat dal Comune e dalla Provincia. Si procederà quindi con una trattativa privata con le eventuali controparti interessate o meglio con il fondo F2i di Vito Gamberale perché non sembrano esservi altri interessati. La speranza è che la trattativa si concluda in fretta e che il nuovo proprietario gestisca l’aeroporto non solo in funzione di un ritorno economico di breve periodo ma anche dello sviluppo del territorio di riferimento, circostanza che negli ultimi dieci anni è stata dimenticata sia dagli azionisti pubblici sia dal Gruppo Benetton, il partner privato al quale agli inizi degli anni 2000 era stata affidata la gestione della società e che ha portato al declino lo scalo. Insomma che qualcuno torni a occuparsi di T-Shirt e qualcun altro di sola politica, possibilmente ricordandosi che il futuro, la crescita di Torino e del Piemonte non possono non passare dalla crescita del suo aeroporto.

La città metropolitana: evoluzione necessaria o no?

Sono sempre stato favorevole alla città metropolitana perché Torino e la sua cintura sono ormai troppo legati per poter pensare ognuno al proprio orticello. Servono strategie e politiche comuni, bisogna fare sistema e l'area metropolitana torinese conta quasi 2 milioni di utenti che, se uniti, possono rappresentare una grande forza verso il futuro. La necessità di una politica uniforme serve inoltre a evitare errori di miopia (ambientale, politica, commerciale) come quello di far costruire due centri commerciali a 10 metri di distanza l'uno dall'altro solo perché questi fanno capo ognuno a un comune diverso.

Sono sempre stato favorevole alla città metropolitana perché ho sempre considerato che questa avrebbe compreso Torino e i comuni della prima, al massimo seconda cintura: l'area metropolitana, appunto.

Invece a quanto pare le cose si faranno diversamente, anche se al momento la confusione regna sovrana La città metropolitana prenderà il posto della decaduta Provincia, e quindi dal punto di vista geografico non cambierà nulla. Le competenze della città metropolitana rimarranno le stesse della Provincia (ad esclusione dell'edilizia scolastica), quindi anche dal punto di vista amministrativo non cambierà granché.

Le uniche modifiche saranno a livello politico e organico. Il sindaco della città metropolitana presiederà un consiglio di 16 persone elette dai Sindaci e dai consiglieri dei comuni del territorio (nel caso della Provincia di Torino, quindi, di 315 comuni). Non è dato sapere come sarà eletto il Sindaco metropolitano, le possibilità sono diverse e verranno decise dal primo gruppo di insediati: l'unica cosa che si sa infatti è che il primo Sindaco metropolitano sarà il Sindaco del comune capoluogo, quindi Fassino.

Ora, io avrei visto più con favore la combinazione di Città Metropolitana formata da Torino e dalla prima cintura, con competenze più ampie di quelle che erano provinciali, e la restante Provincia di Torino, che avrebbe continuato a fare quello che sta facendo ora.

Stando così le cose la Città Metropolitana non mi sembra una grande idea. Non vedo proprio l'utilità di un ente del genere, nemmeno dal punto di vista della riduzione dei costi della politica, visto che Sindaco metropolitano e consiglieri prenderanno il posto di Presidente della Provincia e dei suoi consiglieri. Ripeto, so che le cose sono ancora confuse e in alto mare, ma permettetemi di dissociarmi rebus sic stantibus.

giovedì 26 luglio 2012

La nuova Aula Magna dell'Università alla Cavallerizza Reale

L'altro giorno sono passato all'interno della Cavallerizza Reale per tornare a casa: non ci passavo più da mesi, da quando ho ripreso a muovermi in bici anche per andare al lavoro.

Ho trovato le classiche transenne blu dei lavori e confesso che, pur avendone parlato qui nel blog l'anno scorso, mi ero dimenticato del progetto della nuova Aula Magna dell'Università.

Così ho cercato informazioni sul progetto:

Il complesso del Maneggio Chiablese, ove si realizzerà la Nuova Aula Magna d'Ateneo, si trova all’interno dell’antico complesso della Cavallerizza Reale, originalmente votata alla cura dei cavalli delle regie scuderie.
Ad oggi, l’edificio si presenta particolarmente compromesso dal tempo e da usi poco adeguati che lo hanno profondamente segnato. In quest’ ottica, l’occasione della trasformazione della sala appare irrinunciabile per la conservazione e valorizzazione di un’area così densa di storia e significati legati alla limitrofa presenza di Palazzo Reale.

Dalla documentazione iconografica risulta che il Maneggio Chiablese è già fra gli edifici presenti all'interno della realizzazione seicentesca del “Complesso della Zona di Comando”, come mostra il progetto castellamontiano in cui l’architetto Juvarra, nel 1730, lo disegna alla stregua delle antiche strutture del Regio Archivio, posto all’interno della corte dell’Accademia Militare.
A fianco del maneggio troviamo anche il portico laterale, trasformato nel 1753 in fabbricato adibito a scuderia e interposto fra il Maneggio e la Regia Zecca.

Obiettivo del progetto è la costruzione di una sala che sia anche un “violino”.
Essa, risultando protetta dalla parete semitrasparente del guscio, sarà dotata di foyer ai due diversi livelli. Tali spazi, flessibili alle funzioni di accoglienza del pubblico, saranno indispensabili per raggiungere in sicurezza le vie di esodo, essendo collegati alle scale di sicurezza che si affacciano direttamente verso l’esterno.
Al piano terreno, all’interno del guscio e al di sotto dell’Aula, saranno ricavati diversi spazi di servizio alla sala: servizio di guardaroba, servizio di ristoro, locali di supporto.

Il risultato ottenuto sarà quello di una sala non dissimile da un teatro di alto livello tecnologico.
La luce naturale filtrerà dalle ampie finestre del prospetto, coadiuvata dalla realizzazione di finestroni collocati in sommità alla muratura preesistente; tali finestre collaboreranno a far galleggiare la nuova copertura a capriate lignee rispetto ai muri perimetrali preesistenti. Queste, seguendo la partizione della facciata, saranno in grado di creare effetti scenografici di suggestione.
Ecco come si presenta ad oggi l'interno della Cavallerizza:


Altre foto sono disponibili sul sito dell'Università.

lunedì 23 luglio 2012

Mal di Torino

A quindici giorni dall’inaugurazione dello spazio artistico di via Galliari 14, a San Salvario, i muri dell’Enò14 cambiano faccia. Questa sera la galleria EnOff ospita la presentazione di «Mal di Torino» di Fabrizio Vespa e l’esposizione delle sue tavole illustrate: una carrellata d’immagini originali realizzate dallo studio grafico Libellulart – Officina DiSegni degli illustratori Elisa Scesa, Eleonora Casetta e Daniele La Placa. Il libro, scritto dal giornalista-dj per Espress Edizioni, raccoglie le interviste a dieci torinesi Doc: Bruno Gambarotta, Max Casacci, Ilda Curti, Steve della Casa, Alberto Salza, Marco Ponti, Franco Amato, Massimo Crotti, Adriano Marconetto e Gianluca Gozzi.

Partendo dal ritrovamento di alcuni misteriosi scritti inediti di Cesare Lombroso nella bottega di un rigattiere al Balon, la domanda per tutti è stata la stessa: «Che cos’è il Mal di Torino?». Una malattia dell’anima. Un incantesimo.

Un sentimento indefinibile che impedisce quasi a chiunque di lasciare completamente la città e che fa venir voglia di ritornare tutte le volte che si è lontani. Ne viene fuori un ritratto affascinante di Torino e un’analisi approfondita delle suggestioni che legano lo spirito ai luoghi geografici in cui viviamo. Un grande viaggio attraverso le pieghe di una città-paradigma, in cui realtà e finzione camminano a braccetto lungo una sottilissima linea di confine.

Ad alimentare la nuova leggenda metropolitana sarà l’inguaribile autore che, dalle 19, leggerà alcuni passi di «Mal di Torino» sostenuto dall’esibizione acustica di Levante, cantante di Caltagirone torinese d’adozione. Delle sue canzoni si dice che se si potessero leccare si sentirebbe il gusto amaro che ha la vita in giornate dove la pioggia non smette mai di cadere: come rappresentare meglio il «Mal di Torino?». E fra parole, arte e musica, il pubblico potrà immergersi nell’esperienza enogastronomica griffata EnOff, degustando vini e street food selezionati dall’enoteca. La mostra sarà esposta per quindici giorni.

Enò14
via Galliari 14
Tel: 011/65.96.031

Per acquistare il libro: http://www.espressedizioni.it/catalogo/id/27 

(via lastampa.it )

martedì 17 luglio 2012

La città più europea d'Italia


Un giudizio che serpeggiava già da tempo tra i torinesi che hanno vissuto all'estero è stato finalmente esplicitato da gente che torinese non è: così abbiamo rispettato anche l'understatement sabaudo.

venerdì 13 luglio 2012

L'inutilità di una ZTL notturna per i residenti di San Salvario

San Salvario negli anni è diventata una zona tra le più belle di Torino, e sicuramente la più particolare per il mix di anime, culture, di nuovo e vecchio.
Da frequentatore dei locali di San Salvario sono stato toccato dalla rivolta silenziosa dei residenti scoppiata settimane fa. Quei messaggi appesi ai balconi in qualche modo hanno lasciato il segno e bere una birra all'aperto non è più lo stesso.

Certo la questione è davvero spinosa, come dimostra l'altra protesta, molto più agguerrita, di piazza Vittorio et ses environs. Leggo che le soluzioni pensate dall'amministrazione sono tre:
  • gli esercenti si riuniscono in un'associazione per dialogare più agevolmente con il comune
  • gli esercenti faranno in modo di invitare la clientela a "comportamenti rispettosi verso i residenti"
  • l'amministrazione intensificherà la pulizia
  • l'amministrazione valuterà l'intensificazione della presenza dei vigili urbani
  • l'amministrazione valuterà l'istituzione di una ZTL notturna
Ora, tutti questi provvedimenti (ZTL a parte) sono già stati attuati in piazza Vittorio e hanno dato scarsi, se non nulli, risultati. Nonostante le multe le macchine continuano a parcheggiare per le vie della piazza, nonostante gli inviti a rispettare il vicinato e abbassare il volume, i muri continuano a essere imbrattati di urina e i residenti a non dormire fino a notte tarda (se non a emigrare altrove per il weekend), nonostante la pulizia il sabato mattina piazza Vittorio è un cumulo di cocci, vetri e generico schifo per terra.

La ZTL notturna invece è un esperimento nuovo rispetto alla situazione di piazza Vittorio. Provata già nel Quadrilatero, mi sembra abbia dato buoni frutti per quanto riguarda la vivibilità e la "pedonalità" delle strade.
Sicuramente avrebbe gli stessi effetti anche in San Salvario: sarebbe bellissimo poter avere le strade tutte per sé, senza bisogno di guardarsi dalle macchine in transito.

Però non credo risolverebbe i problemi dei residenti sansalvaresi: anzi, li peggiorerebbe. Chi è stato a San Salvario anche solo una sera sa che i rumori delle automobili non sono nulla rispetto agli schiamazzi e al vociare delle persone. Ma c'è di più.
Le macchine in transito sono (e lo dico a malincuore) l'unica cosa che contenga un po' le persone dalla conquista delle strade. Immaginate la strada davanti a un qualsiasi locale, immaginate l'incrocio davanti al triangolo Bottega Baretti - Lanificio San Salvatore - Diwan cosa non diventerebbe senza auto: un crogiuolo di persone che parla, canta, beve, vivacchia e sta in compagnia: una cosa fantastica per chi a San Salvario è solo ospite, ma un inferno ancora più torrido per chi a San Salvario risiede e cerca di dormire.
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