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mercoledì 28 settembre 2011

Ed è sempre più Hollande


Se fino a un mese fa la partita per le primarie socialiste in Francia era apertissima tra François Hollande e Martine Aubry, ora il discorso è definitivamente chiuso. Nell'ultimo mese Hollande si è rafforzato tantissimo: secondo il sondaggio realizzato da Ipsos nella settimana appena conclusa, molto è dipeso dal fatto che, secondo i francesi, Hollande è il più sicuro di portare a casa la vittoria alle presidenziali.

Ma non è l'unico motivo: Hollande vince anche in tutte le percezioni del pubblico (è il più attento ai bisogno di francesi, incarna la presidenza, è il più capace di riunire i francesi, è quello più preparato nell'affrontare una crisi internazionale) e consolida il suo vantaggio mentre la Aubry viene progressivamente indebolita, non solo dal punto di vista numerico (rispettivamente +6% e -6% di intenzioni di voto) ma anche nella stabilità dell'elettorato: il 61% dei potenziali elettori di Hollande considera la sua scelta come definitiva, pmentre er la Aubry gli elettori decisi sono solo il 49%.

L'unica speranza della Aubry sta nei voti dei seguaci di Ségolène Royal, che al secondo turno voterebbero al 50% per lei e al 35% per Hollande. Ma Hollande ha dalla sua il 52% dei voti di Montebourg, ormai risalito nei sondaggi fino a insidiare il terzo posto della Royal. Una Royal sempre più stigmatizzata ed estremizzata dagli stessi socialisti (è la candidata con la percentuale più alta di opinioni negative e quella con il giudizio peggiore sulla campagna elettorale in corso).

L'ultimo elemento che vorrei sottolineare è invece la buona opinione dell'elettorato socialista francese sullo strumento delle primarie: il 76% degli intervistati pensa che le primarie siano una buona idea e che il partito e il candidato vincente ne usciranno rafforzati e l'83% è convinto che i candidati battuti sosterranno con lealtà il vincitore. Insomma, percentuali piuttosto bulgare che fanno capire l'importanza che i cittadini assegnano alle primarie come strumento di democrazia e coinvolgimento.

venerdì 7 maggio 2010

Clegg flop

Peccato, perché sarebbe stata una grande occasione per un paese come la Gran Bretagna.
Io spero ancora in un accordo Lab-Lib, ma anche questa coalizione non avrebbe comunque una maggioranza tale da governare (una coalizione che forma un governo di minoranza? mah)

Un gran pasticcio.

domenica 25 aprile 2010

C'è del buono in Danimarca

Certo che vedere i due maggiori partiti d'opposizione in Danimarca andare assolutamente d'accordo e i loro due leader fare persino una campagna elettorale insieme come reazione alla nuova riforma fiscale dell'estrema destra crea un notevole disagio in un elettore della sinistra italiana.

martedì 16 marzo 2010

Mappa del voto francese: Parigi


In un impeto di nostalgia per il passato, ho aperto questa analisi. Vedo che la roccaforte socialista del XIX arrondissement non delude ancora.

domenica 31 gennaio 2010

Su Casini e sul bipolarismo

Pur essendo antitetico a molte delle posizioni di Casini, io vedo con favore questo suo smarcamento dai due poli e questa sua ricerca di indipendenza. Lo scrissi già in occasione del referendum, l'Italia (e più in generale l'Europa) hanno i mezzi, la storia e la cultura per non ridursi ad uno sterile bipartitismo come negli Stati Uniti.

Risparmio ogni digressione su leggi elettorali varie; è ovvio che bisogna cambiare quella esistente con un'ampia maggioranza (in modo da non dover discutere lo stesso argomento alla prossima legislatura di colore opposto), ma credo che ve ne siano diverse che hanno i propri pro e i propri contro. Se ne discuta nelle sedi più indicate insomma.

Il mio modello di riferimento, devo ammetterlo anche questa volta, è la Norvegia. Nel sistema partitico norvegese (e in Scandinavia in generale) esistono otto, nove, dieci partiti che in occasione delle elezioni politiche si raggruppano in due principali schieramenti che difficilmente raggiungono la maggioranza in Parlamento e vanno a formare i cosiddetti governi di minoranza. Questi governi sono costretti a cercare una maggioranza trasversale a seconda della materia dibattuta in Parlamento. E sapete qual è la cosa più eclatante? Che funzionano. Che legiferano. Che trovano un'intesa sempre diversa, che alla fine corrisponde al sentire/volere della popolazione molto più delle azioni di governo decise dal Premier e approvate da un decreto legge.

Se il Partito Laburista vuole far passare una legge che aumenti gli aiuti sociali sul lavoro, cercherà un'intesa con i partner della coalizione e con i cristiano-democratici, anch'essi favorevoli ad una tale azione di legge. Magari con qualche modifica, ma la legge viene approvata in tempi ragionevoli. Se lo stesso Partito Laburista volesse approvare una legge sulla ricerca sulle cellule staminali, cercherebbe il consenso mancante nel Partito Liberale di Destra (che, curiosamente, si chiama "Sinistra", come in Danimarca... perché originariamente era il partito di sinistra, e con gli anni le sue posizioni sono state scavalcate da posizioni ancora più di sinistra tanto che si è ritrovato ad essere a destra). Questa è democrazia, questo è un Parlamento sano.

sabato 10 ottobre 2009

Trova le differenze

«Sono in assoluto il miglior premier di sempre, il mio dovere è
governare cinque anni, e sono in assoluto il più
perseguitato della storia perché ho subito 2500 udienze. Ho tutte
queste cause perché faccio argine alla sinistra, ma sono sempre stato
assolto. I processi di Milano sono autentiche farse, andrò in tivù e lo
spiegherò agli elettori».

«Sono sia sorpreso che onorato dalla decisione del Comitato del Nobel.
Siamo chiari: non lo considero un riconoscimento per i miei meriti
personali, ma piuttosto una conferma della leadership americana e delle
aspirazioni di tutti i popoli. Per essere onesti, non credo di meritare
di stare in compagnia di tante figure che hanno vinto il premio in
passato - uomini e donne che mi hanno ispirato, e hanno ispirato il
mondo intero, attraverso la loro coraggiosa ricerca di pace».



sabato 11 aprile 2009

Emma Bonino Superstar

Ma sentitela. Ha 60 anni suonati ma in quanto a flessibilità mentale, tolleranza, concretezza, attenzione verso l'Europa e apertura verso il futuro neanche il politico più giovane della Camera le sta dietro.




Una grande. Ma quando le daremo più spazio nel panorama politico-istituzionale italiano?



martedì 10 febbraio 2009

Le elezioni in Israele e il futuro del conflitto palestinese

Tzipi
Ore 22.00, urne chiuse a Gerusalemme. Parte la conta dei voti ed escono i primi exit poll.
Queste elezioni israeliane potrebbero contribuire a dare una svolta al conflitto israeliano-palestinese che si protrae ormai da tempo immemorabile. Una svolta in positivo o in negativo, s'intende. E molti credono in negativo.



I sondaggi pre-elettorali non facevano infatti ben sperare. La rimonta del partito di destra, Likud, primo in quasi tutti i sondaggi, e la rapida ascesa del partito di estrema destra Yisraeli Beiteinu, al terzo posto, mostrano quanto l'asse della bilancia politica israeliana si sia spostato a destra. Soprattutto contando che i laburisti di Barak sono in discesa continua.



Al secondo posto nei sondaggi, Kadima. Il partito di Tzipi Livni, l'attuale ministro degli esteri isrealiano, potrebbe essere fautore di un testa a testa con Likud. In ogni caso per il partito di centro, anche nel caso in cui dovesse vincere le elezioni, non sarebbe facile mettere su una coalizione di governo.



I primi exit poll danno proprio Kadima vincente, di un soffio, su Likud. E danno i liberali persino più in fondo di quanto prevedessero le peggiori aspettative pre-elettorali. Se i risultati stessero così, una coalizione di destra risulterebbe avere la maggioranza di 65 seggi contro i 57 di una coalizione di sinistra, secondo il leader di Likud Netanyahu.



Hamas, invece, ha appena rilasciato un comunicato all'ansa in cui afferma che qualsiasi partito vinca, si tratterà sempre di un partito di terroristi che hanno acconsentito all'operazione militare nella striscia di Gaza. E la paura che gli arabi israeliani boicottino le elezioni non presentandosi a votare (gli arabi israeliani tendenzialmente votano più a sinistra) accresce le paure che il conflitto abbia ancora molto da bruciare prima di spegnersi.



martedì 20 gennaio 2009

Buon lavoro Barack

Barackobamauspresident
Dopo 8 lunghi anni di amministrazione Bush, i Democratici tornano alla presidenza. It was about time.
E con che candidato poi, Obama non ha ancora iniziato a fare il presidente e ha già l'84% dei consensi tra gli americani. Un plebiscito, altro che la risicata vittoria di una manciata di voti che portò Bush a Washington.
Poi, certo, è un rischio - aspettative maggiori conducono a maggiori delusioni. Però sognare un po' non fa male a nessuno, e sperare in bene ancora meno.



E poi il primo presidente nero. Chissà cosa penserà Martin Luther King. Siamo proprio di fronte alla storia.



Buon lavoro Barackino!



sabato 10 gennaio 2009

Rachida Dati, c'est "wonder woman"

Rachidadati
Oggi voglio polemizzare con chi polemizza con Rachida Dati e la sua decisione di tornare al lavoro a soli cinque giorni dal parto. Ho fatto un po' di web-zapping su qualche blog francese, e la maggior parte delle opinioni dei blogueurs che ho letto sono molto razionali e vanno a pesare pro e contro della scelta, ma è anche vero che si percepisce quasi chiaramente un astio di fondo nei confronti del ministro della giustizia, al di là delle sue scelte.



Perché proprio di questo si tratta, di scelte. E ogni scelta è frutto dell'esperienza personale, e per questo è assolutamente legittima.



Leggo chi la accusa di essere in preda a un delirio di onnipotenza o di essere affamata di potere... ma perché? E' una donna che fa il suo lavoro, ed essendo il suo lavoro quello di reggere un ministero, mi pare sia largamente comprensibile che meno assente sta e meglio è. Ho forse torto? 



Eppure, no. Le femministe le si scagliano contro accusandola di calpestare i congedi di maternità e le agevolazioni per le neo-mamme così sudate in tanti decenni di lotte... ma, anche in questo caso, perché? I congedi e le agevolazioni sono un sacrosanto diritto, ma proprio in quanto diritto una persona può anche scegliere di non avvalersene. Giusto?



Io voglio solo ricordare che la grande Maria Teresa I d'Asburgo, che tra i tanti titoli nobiliari e altisonanti vantava quelli di Arciduchessa d'Austria e Regina di Ungheria, Boemia, Croazia e Slavonia (mica fragoline di bosco insomma), ha avuto SEDICI figli e dopo ogni singolo santo parto tornava ad occuparsi degli affari di stato dopo TRE giorni. "Regalita' significa responsabilita', dovere, abnegazione costante; non
c'è posto per lassismo e debolezza, né per l'autoindulgenza del vizio."



Maria Teresa però ai suoi tempi non era stata criticata da nessuno, e il suo tornare al lavoro era visto come segno di grande forza e coraggio.



E concludo con una frase riportata su lastampa.it di Maria Rosa Cutrufelli, che mi pare ironica al punto giusto e altamente indicativa come metro della discussione in corso: «Ah, le
donne sbagliano sempre, sbagliano se stanno a casa con i figli e se si
precipitano in ufficio, o sono lavative o sono carrieriste, sono
comunque colpevoli. Io penso che se possono e vogliono, hanno il
diritto di mettersi alla prova. Desiderio di carriera, prestigio,
riconoscimenti? Che male c'è, finora hanno avuto così poco! Delirio di
onnipotenza? Sempre meglio della depressione post-partum».



martedì 30 dicembre 2008

C'è del marcio in Belgio?

Belgio
Se nessuno vuole prendere il potere in un paese, evidentemente qualche problema ci deve pur essere, è palese. Se poi questo potere nessuno lo vuole prendere da più di un anno, direi che siamo in piena crisi.



E' quasi incredibile che si parli in questi termini del Belgio, piccolo Stato Europeo che tutti conoscono perché la capitale, Bruxelles, è sede di molti importanti palazzi internazionali ed europei. Eppure dall'inizio del 2007 le notizie sulla crisi politica del paese si sono fatte più frequenti. Le due anime che compongono il paese, i fiamminghi a nord e i valloni a sud, non riescono più ad andare d'accordo e nemmeno a legiferare in maniera comune in materia di un federalismo più marcato di quello che possiedono ora. I fiamminghi accusano i valloni di sperperare tutte le loro risorse, un po' come da noi la Lega accusa il meridione. Solo che, parlando con un amico vallone francofono, anche i francofoni ammettono che ciò sia vero. E i fiamminghi si sono stufati di essere il cavallo buono che tira tutto il peso del carro.



Dicono che il Belgio ora come nazione non abbia che un re (Alberto II) e una squadra di calcio nazionale, mentre il resto è tutto diviso. Oggi, dopo l'ennesima crisi del governo Leterme, il presidente della Camera Van Rompuy ha trovato l'intesa con le cinque forze politiche più importanti del paese e assumerà il mandato per portare avanti il governo precedente (unica eccezione: un nuovo ministro della giustizia a sostituire il dimissionario Vandeurzen). Riuscirà il nostro prode fiammingo a portare a casa la fine della legislatura più controversa della storia belga?



martedì 25 novembre 2008

Ségolène e la beffa dei 102 voti

Varmatin Ha venduto cara la pelle Ségolène Royal.



Nelle elezioni più contestate in assoluto del Parti Socialiste francese per eleggere il prossimo primo segretario, lei partiva da grande sfavorita: aveva tutti contro, tre altri candidati molto più simili tra loro che avevano cercato fino all'ultimo un accordo per unire le loro tre mozioni che insieme raggiungevano il 70% dei voti dei militanti socialisti francesi. Ségolène aveva solo il 29%, ma di quei quattro era la prima.



Ma senza accordo tra i tre, senza alcun accordo tra uno dei tre e Ségolène, la maggioranza non esisteva e si è proceduto al voto diretto dei tesserati socialisti. Con Delanoe ritirato, che aveva evitato dapprima di dare consegne di voto, per poi sbilanciarsi il giorno dopo verso Martine Aubry (mossa che secondo me gli costerà tanti punti a livello di immagine). Sistema di elezioni alla francese, con molteplici candidati al primo turno e i primi due al ballottaggio nel secondo. Primo turno di elezioni dunque, ed ecco la zampata di Ségolène: prima con il 42% dei voti, seguita da Martine Aubry con il 34%. Eliminato Hamon, terzo arrivato.



E come giochi senza frontiere (ma quanto mi manca guardarlo?), si procede al secondo turno - ora anche Hamon ha incitato i propri sostenitori a votare la Aubry, e Ségolène, con il suo 42%, pare ben lontana da una vittoria.



Anche se. Anche se.



Al ballottaggio, la lotta è serrata e i primi exit poll danno Ségolène in vantaggio, poi Martine, poi Ségolène di nuovo. Martine nel corso della nottata però inizia a festeggiare per la nomina a primo segretario, i Royalisti insorgono... insomma, un désastre. Socialisti contro socialisti in un partito che perde sempre più consenso popolare.



E' solo al mattino dopo che escono fuori i risultati ufficiali: Martine Aubry ha vinto. Con il 50,02% dei voti, una quarantina in più rispetto a Ségolène. Le voci di brogli si alzano, i gauchisti di Aubry e Hamon accusano i Royalisti di non saper perdere, la Royal chiede a gran voce un nuovo voto più controllato... ma non c'è nulla da fare. Lo statuto del PS dice chiaramente che la nomina a primo segretario non è automatica, e che finché il perdente del ballottaggio non riconosce la vittoria dell'avversario, la nomina non avviene.



Il tutto è rimandato al consiglio del partito socialista, riunitosi oggi. Dopo ore ed ore di discussioni, ricontrolli, obiezioni e giri di parole, la versione ufficiale è questa: Martine Aubry ha vinto, con appena 102 voti di distacco su Ségolène Royal. 67.451 voti per Aubry contro 67.349 per Royal.



Ségolène ha perso, ma ha perso molto bene. La sua immagine ne esce certamente rafforzata. Il suo rapporto diretto con la popolazione ha dato ancora una volta grandi risultati (ricordiamo il 60% dei voti nelle primarie del PS nel 2006). Martine Aubry ha poco di che godere di una "victoire sans gloire", come la definisce l'UMP. E nel frattempo, questa è stata l'ennesima mazzata ad un partito che cerca di fare opposizione ma che in realtà non fa che fare opposizione a sé stesso. Ils ont beau temps, Royal e Aubry, di invocare i socialisti all'unità. La realtà è che quest'elezione ha lacerato il partito in due e non so se, né quanto velocemente, la ferita si potrà rimarginare.



(foto: varmatin)



venerdì 14 novembre 2008

La sfida interna del Parti Socialiste, tutti contro Ségolène Royal

Politiques
Iniziamo la giornata di oggi con un bel post agguerrito sulla politica francese. Come sapete, oggi si tiene a Reims il congresso del Parti Socialiste per eleggere il segretario che succederà a François Hollande. Allora, qui il PS inizia a sembrare l'ambientazione di una telenovela, quindi prestate bene attenzione alla trama e all'intreccio.



Hollande è l'ex compagno di Ségolène Royal, che è stata la candidata del PS alle elezioni presidenziali di due anni fa, perdendo 46% a 54% contro Sarkozy. Ora, la carriera di Ségolène è quasi paragonabile a quella di Sarah Palin - è infatti presidente della regione del Poitou-Charentes. La sua campagna del 2006 è partita dalle primarie del PS, in cui gli sfidanti socialisti hanno cercato di demolirla accusandola di non essere capace a seguire una conversazione e a far osservazioni pertinenti, figuriamoci a governare. Eppure Ségolène è stata acclamata dal popolo socialista, ottenendo il 60% del voto alle primarie con una campagna concentrata sul ricambio generazionale di cui il partito aveva bisogno, e quindi contro gli elefanti del partito, tra cui Strauss-Kahn e Fabius.



Pur avendo vinto le primarie tuttavia, la reputazione di Ségolène è stata distrutta in campo generale - dai sondaggi risultava infatti che per la maggior parte della popolazione la governatrice non risultasse adatta a dirigere un paese - alcune voci di corridoio dicevano addirittura che ai comizi le parole le venivano suggerite dai propri collaboratori, tra cui, guarda caso, Hollande, segretario del PS. Sta di fatto che, nonostante un'impressione ben competitiva e al di sopra delle aspettative al dibattito pre-elettorale contro Sarkozy, il candidato dell'UMP ha avuto vita facile e ha vinto le elezioni.



Ma Ségolène ha detto chiaro e tondo che non sarebbe finita lì.



E così è stato. E' tornata alla ribalta proponendo la sua mozione al PS affiancandosi a quelle del sindaco di Parigi Delanoe, del sindaco di Lille Martine Aubry e a quella di Benoit Hamon. Ed è arrivata prima. Ha ottenuto il 29% dei voti, contro il 26% di Delanoe, il 22% della Aubry e il 16% di Hamon. Stando così le cose, spetta a lei l'iniziativa per raggiungere una maggioranza dei consensi nella votazione che si tiene oggi.



Questa maggioranza dei consensi però è ben lontana dall'essere una possibilità. Pur avendo inviato lettere di rapprochement agli altri candidati, e pur non avendo ancora dichiarato l'intenzione o meno di candidarsi alla segreteria del partito (Ségolène ha sempre detto che il posto di segretario non era fatto per lei, che è fondamentalmente un'estranea ai meccanismi del partito, e che il suo obiettivo fosse piuttosto le presidenziali del 2012), Ségolène non ha trovato alleati disponibili nemmeno ad una negoziazione. Martine Aubry l'ha seccata completamente dicendo che le loro concezioni di sinistra sono troppo diverse, e ha preferito invece trattare prima con Hamon e ora (pare) con Delanoe. Hamon rappresenta la frangia di estrema sinistra del partito, e per i suoi sostenitori la strategia di avvincinamento al partito centrista francese MoDem contemplata da Ségolène non è apprezzabile. L'unico che finora ha lasciato una titubante porta aperta è stato Bertrand Delanoe, sindaco di Parigi e gay dichiarato, che sembra considerare possibile una mediazione tra la sua mozione e quella della Royal, a patto però che quest'ultima non ascenda alla guida del partito.



I detrattori di Ségolène (ma non solo), dicono che, se lei diventasse segretario, il partito si spaccherebbe. Il che forse non sarebbe neanche male, visto che la crisi del partito socialista è molto paragonabile a quella del nostro partito democratico (sebbene le crisi siano nate per due fattori opposti) e va avanti ormai da anni. Un sondaggio di oggi pubblicato da TNS Sofres ha anche mostrato che la fiducia dei francesi verso il PS è costantemente in calo. Alcuni poi affermano l'incompatibilità delle posizioni di segretario e candidato presidenziale, più per una consuetudine consolidata che per una reale ragione tecnica.



Sta di fatto che Ségolène è un personaggio dinamico che ha saputo e continua ad attrarre l'opinione pubblica, sia nel bene sia nel male. Io personalmente credo molto che questo odio e questa ammirazione nei suoi confronti riflettano e siano senza dubbio sintomatici della crisi di identità che attraversa il PS.



Rimaniamo ora in attesa di notizie da Reims per sapere quale sarà il futuro del PS e insieme della sinistra francese. 



giovedì 13 novembre 2008

Ségolène candidate éternelle

Guardate cosa ho trovato nel mio giro quotidiano di contatti, quest'oggi in Francia. A pochi giorni dal successo (risicato, ma pur sempre successo) della sua mozione all'interno del congresso del Parti Socialiste Français, ecco come Charliehebdo.fr, un giornale satirico d'oltralpe, dipinge la cara Ségolène:








Segolene_3





 




martedì 28 ottobre 2008

venerdì 24 ottobre 2008

L'ingiustizia di Rachida Dati

Rachida
A quanto pare non sono solo in Italia i Ministri nullafacenti e preoccupati più della loro immagine di personaggio pubblico che del loro mandato governativo. La Francia, a quanto si legge da un articolo di Domenico Quirico su lastampa.it, è in rivolta contro il Ministro della Giustizia, Rachida Dati, uno degli emblemi del governo Sarkozy, uno dei Ministri più discussi e diventata poi una delle yummy mummy più discusse per quanto riguarda la paternità del figlio. Insomma, dalla popolarità come Ministro, Rachida ha raggiunto la popolarità anche in quanto personaggio mediatico.



Con le sue mise Dior in piena crisi economica, Quirico la descrive come la Marie Antoinette sarkoziana. Pare che abbia addirittura tutti contro, anche sindacati e magistrati che solitamente si combattono tra loro. La definiscono un caporale, una dittatrice, una che non vuole ascoltare niente e nessuno perché fermamente convinta di avere sempre indiscutibilmente la ragione dalla propria parte. Sembra anche che a Sarkozy non dispiacerebbe disfarsi di lei.  L'onda di 91 suicidi nelle carceri francesi ha proiettato l'attenzione dei media su una situazione della giustizia in generale completamente barcollante da quanto Rachida ne ha preso i Sigilli.



Le Monde poi riporta questa frase agghiacciante se si pensa che possa provenire da colei che deve garantire il rispetto dei diritti di tutti e la legalità dei provvedimenti:



"Mme Dati multiplie les annonces et les déplacements. Les
critiques exprimées contre le parquet de Metz après le suicide d'un
mineur ont suscité de vives protestations. Tout comme l'instruction
passée aux directeurs de prison de ne plus tenir compte des avis
médicaux, après le meurtre de Rouen, où un détenu suicidaire a été
sorti de l'isolement, puis a tué son codétenu.
"On ne peut pas créer une règle à chaque événement exceptionnel. On ne sait plus où l'on est", critique le Dr Paulet."



Peccato. E' un peccato proprio perché la storia della Dati, figlia di immigrati che riesce a laurearsi con le sue forze e arrivare a capo di un ministero, ne faceva un bell'esempio di self-made woman e delle possibilità che in Francia tutti hanno di ottenere ciò che meritano. Senza parlare della componente minoritaria che faceva di Rachida il primo ministro di origine maghrebina, aumentando l'immagine della tolleranza e del multiculturalismo della nazione.



Ma del resto si sa, l'immagine non è tutto.

(immagine ladepeche.fr)



giovedì 23 ottobre 2008

Haider e l'uomo della sua vita

Haider
E così Stefan Petzner, il so-called delfino 27enne di Joerg Haider, è finito su tutti i giornali con un'intervista in cui afferma di aver amato Haider in modo speciale e lo definisce "l'uomo della sua vita".



A parte il fatto che queste dichiarazioni per cercare notorietà capitalizzando sulla morte di uomo mi fanno pietà.



Pare comunque strano, da un lato, pensare che Haider, leader di un partito di estrema destra altamente xenofobo e probabilmente anche omofobico, possa aver avuto una relazione così speciale con un uomo. Anche se forse i politici austriaci sono di mentalità più aperta rispetto ai politici guelfi italiani.



Ma, dall'altro lato, non è così tanto strano. Queste relazioni speciali tra due uomini accadono molto frequentemente, e in particolar modo proprio tra persone che dell'omofobia fanno uno dei punti chiave della loro vita.



Haider era un uomo molto carismatico, ed è stato sicuramente una figura di rilievo della politica austriaca degli ultimi anni. Ha fatto il botto nelle ultime elezioni con l'11% dei voti per il partito che lui stesso aveva fondato, la BZOE. E, alla fine, non pare neanche troppo strano che qualcuno cerchi di
capitalizzare sopra la sua morte per conservare questa bella
percentuale.



Ora però la sua morte rischia di trasformare una persona dagli indubbi meriti personali in un martire politico, come lobotomizzando la popolazione su tutta la parte xenofoba e razzista del suo pensiero. Bisogna invece non dimenticare  che le sue politiche erano altamente elitarie e ipernazionaliste, e sono state sanzionate a più riprese dall'unione europea in quanto contrarie alla direzione politica presa dai 27.



Ho pensato subito che il diffondersi della notizia di Haider the closeted gay fosse in realtà una manovra dei suoi avversari per evitare la consacrazione del politico in un'aura senza tempo. Ma le parole di Petzner, suo pupillo e suo delfino, hanno fatto crollare questa tesi. La BZOE dice persino che cercherà di limitare le interviste di Petzner in futuro. Ma cosa succede allora?



Che Petzner fosse davvero innamorato di Haider?



venerdì 3 ottobre 2008

Palin vs Biden

Usa_vote_2
Sono molto contento di leggere nell'articolo di Maurizio Molinari su Lastampa.it che Biden ha confermato le aspettative che i Democrats avevano su di lui nel dibattito tra i due potenziali vicepresidenti. Esercitando la sua calma ha dimostrato di avere esperienza, di saper difendersi quando attaccato, ma allo stesso tempo di non dover essere costretto a farlo a sua volta: sono i Repubblicani che inseguono, non lui.



E sono anche contento che la piccola Palin abbia 'perso' il dibattito ma abbia fatto una figura decisamente migliore rispetto a quanto ci si aspettava da lei al primo dibattito su scala nazionale. Mi è piaciuto il fatto che abbia detto «Sono proprio una outsider a Washington - non
riesco a capire come questi politici riescano a cambiare idea così
velocemente». Questo a mio parere è un altro dei grandi punti a suo favore, quello di essere estranea ai giochi della politica di Washington (che Dio solo sa quanto possano essere intrecciati, annodati e complicati). Meno mi è piaciuto il ricorso a espressioni che volevano rappresentare la middle class americana, come se i Repubblicani fossero la manna per la classe media. Bah. E comunque rimane sempre il fatto che, per quanto McCain e Palin possano parlare di cambiamento, la politica dei repubblicani è sempre il continuamento della politica di Bush - che, ricordiamo, ha gradimento nazionale pari al 10%.

Entrambi i vice provenienti da una situazione famigliare difficile, o quantomeno challenging. Che poi uno degli aspetti della politica statunitense (e anglosassone e protestante in generale) che non mi piace proprio è sempre questo valutare i candidati anche per la loro vita privata. Ma queste sono differenze culturali in fondo.

Mi confortano i sondaggi che danno Obama avanti di 9 punti percentuali. Certo, poi bisognerà fare il computo dei voti stato per stato, ma sono fiducioso che tra un mese porteremo a casa il primo Presidente nero della storia statunitense.

E dopo di lui ci sarà da eleggere una donna - e poi un gay. Direi che se proseguiamo di questo passo entro il 2050 ce la faremo ad avere la piena libertà dell'individuo rappresentata da una figura che per visibilità nel mondo attuale non ha rivali.
.



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