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lunedì 22 marzo 2010

Chiamparino: con la Lega Piemonte vassallo

Sarà la sferzata d’energia frutto della domenicale corsetta mattutina sulle rive del Po. Sarà l’esito del giro propagandistico compiuto nella provincia piemontese. Certo, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, all’inizio dell’ultima settimana di campagna elettorale per le Regionali, sembra moderatamente ottimista sul risultato della sfida Bresso-Cota. Né troppo impressionato dalla manifestazione romana di sabato scorso.

Eppure, l’accoppiata tra Berlusconi e Bossi, su quel palco in piazza san Giovanni, pareva rinsaldare un’alleanza di ferro nella maggioranza di governo, basata su una netta spartizione del territorio: al nord, il predominio della Lega, al centro-sud, quello del Pdl. Come sindaco di centrosinistra in una città del nord, la prospettiva non la preoccupa?
«A me, Berlusconi è sembrato un leader solo, che cerca di ripetere il consueto copione, con un Bossi sicuramente azionista di riferimento forte della coalizione. Ma pure un azionista che, piuttosto rudemente, fa capire che non deve nulla all’amministratore delegato e, quindi, che, da un momento all’altro, potrebbe anche cambiare strada o essere più autonomo. Dal punto di vista politico, questo atteggiamento rivela una maggioranza fragile, perché Fini non c’è e la Lega, che è l’ultimo partito leninista, ha già dimostrato di avere molta spregiudicatezza nel giocare la sua partita».

C’è, però, quell’immagine di giuramento comune dei candidati governatori che sembra contraddire questa sua impressione.
«Questa è un’altra immagine choccante, ma che non mi stupisce: dovremmo costruire il federalismo e, quindi, i candidati governatori dovrebbero, semmai, giurare ognuno a casa propria. Mentre vanno a giurare nelle mani dell’imperatore. Più che governatori, questi, mi sembrano dei valvassori. D’altra parte, non mi sorprendo. Siamo l’unico Paese d’Europa in cui i Comuni non hanno nessuna autonomia fiscale. Non solo, l’unico Paese in cui il governo fa cadere dall’alto, con discrezionalità politica, i sostegni alle realtà locali. Come l’elargizione di 80 milioni all’Acea di Roma per compensare le multe inflitte per aiuti di Stato. Cosa che non è avvenuta per le altre utility e per i loro azionisti pubblici».

La Lega, però, ha un radicamento sul territorio molto forte, che ricorda quello del vecchio pci. Non vi sentite, voi della sinistra, battuti su quello che era il vostro campo preferito?
«Che la Lega lavori bene sul territorio, è vero. Che noi dovremmo tornare ad essere ancor più radicati, è altrettanto vero. Ma il primo passaggio è proprio quello di vincere le elezioni, laddove, come in Piemonte, abbiamo governato bene. Come, tra l’altro, lo dimostra proprio la vostra inchiesta sulla Stampa di ieri. Ma la Lega, se davvero vogliamo analizzare la sua presenza sul territorio, ha il vero insediamento profondo nell’asse lombardo-veneto, tra Verona e Milano. Questo mi preoccupa, perché quando Bossi dice “la Tav non vi serve, perché l’importante è che voi arriviate velocemente in Lombardia” dà l’idea di un vassallaggio del Piemonte verso quell’area».

Scusi, ma non è proprio lei a essere favorevole al progetto Mi-To? Non c’è una contraddizione in questo suo timore di sudditanza piemontese alla Lombardia?
«No. Io rivendico l’idea che con quell’area si possano fare progetti comuni, ma vanno fatti con la schiena dritta e, quindi, condizione necessaria è non essere, obiettivamente, anche al di là della volontà dei singoli, tributari di un radicamento politico, sociale ed economico che ha, lì, la sua forza. Senza offendere nessuno, ma il peso politico di un Maroni, di un Calderoli, di un Castelli, per non parlare di Bossi, è diverso da quello di Cota o di Borghezio. Il rischio, perciò, che una vittoria di Cota porti a una “lombardizzazione” del Piemonte è molto forte».

Ultima domanda su un argomento diverso: per la candidatura del centrosinistra a prossimo sindaco di Torino, è meglio puntare su un uomo di partito o su un esponente della società civile?
«Sono d’accordo con Castellani: io sono disposto a fare la mia parte, a stare al tavolo, anche non a capotavola come dice lui, dove un gruppo di persone rappresentative, non solo formalmente, di quella coalizione che in questi 15 anni ha governato Torino, e credo bene, ragioni sulla condizione della città. Solo dopo aver individuato il progetto sul futuro di Torino, si può pensare alla persona, o alle persone, più adatte a realizzarlo. A quel punto, saranno le primarie a confrontare questa figura, o questa rosa di figure, con altre, magari presentate da diversi raggruppamenti o diverse forze politiche. Ma non voglio eludere la sua domanda: proprio questi ultimi 15 anni di governo hanno avuto anche il risultato di amalgamare la distinzione tra rappresentanti di partito e rappresentanti della società civile. E’ stato un amalgama ben riuscito a Torino, come dimostra proprio la staffetta, in piena continuità, tra Castellani e me».

(via LaStampa)
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