domenica 21 settembre 2008

(d)istruzione italiana: l'antidoto Gelmini

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Non so voi, ma secondo me la Gelmini è un ministro strepitoso. E' eretta, rigida, composta, forbita e ha degli occhiali a dir poco meravigliosi. E un sorriso invidiabile. E' passata nell'ultima estate attraverso una protesta dopo l'altra, si è fermata innumerevoli volte a precisare quello che aveva detto, a interpretare ciò che era stato disinterpretato, a rimbeccare gli ubriaconi che le davano ragione per poi remarle contro un secondo dopo, ma è andata dritta per la sua strada.



Ho appena letto l'articolo su lastampa.it dell'intervista di Paola Mastrocola (il cui stile effervescente ho apprezzato parecchio) al Ministro e mi sono convinto ancora di più della bontà della missione di questa signorina lombarda dalle montature sgargianti. Non so come si possa criticarla per avere idee retrograde.



Partiamo dalle basi. Immedesimiamoci in lei. Partiamo da dove parte lei. Da una scuola nazionale i cui fondi sono spesi al 97% per pagare gli stipendi degli insegnanti. Praticamente la scuola italiana è rimasta ferma per quanto? per vent'anni? in questa situazione in cui non ci sono soldi per fare nessunissima altra cosa. Abbiamo voglia a lamentarci che la scuola in Italia è rimasta indietro, e grazie non ci sono fondi per farla progredire.



Con una scuola che è fra le ultime in Europa in termini di qualità, peggio di così non può proprio andare. Ed è una situazione negativa per tutti, da qualunque punto di vista la si guardi. Gli insegnanti hanno le palle piene di lavorare tanto per uno stipendio da fame, ed è proprio vero che l'insegnante migliore è quello che ha vocazione: quelli che la vocazione non la hanno non sono neanche invogliati a impegnarsi più di tanto. E così gli studenti si ritrovano a seguire le lezioni di questi insegnanti demotivati in aule in stato di degenero (io mi ricordo il mio primo anno nello scantinato del mio liceo la nostra aula non aveva neanche il riscaldamento... e d'inverno la temperatura non era proprio da tropici, ve lo posso assicurare), lamentandosi per la qualità delle infrastrutture che in effetti cadono proprio a pezzi. E certo, non ci sono i soldi per riparare nulla, vanno tutti agli insegnanti e per giunta senza nemmeno riuscire a riempire le loro tasche.



Ma allora cosa faremmo noi al posto di Mariastella? Cosa si fa in questi casi?




Si taglia il tagliabile.



Una delle affermazioni della Gelmini che più mi è piaciuta è stata nel periodo iniziale del suo pacchetto di proposte. In occasione dei tagli degli 87mila posti aveva detto che preferiva avere un numero minore di insegnanti ma che fossero meglio pagati, e io non potrei essere più d'accordo. E trovo giusta anche l'idea di guardare e modellare la scuola in funzione degli alunni, non del tasso di disoccupazione del paese. Trovo che le sue proposte di razionalizzazione possano funzionare, in particolare l'idea di favorire i comprensori di scuole che radunino materna, elementare e media sotto un unico istituto: avete un'idea di quante risorse gestionali si risparmierebbero con un solo preside invece di tre, un solo apparato amministrativo invece di tre? Poi finalmente la volontà di introdurre la meritocrazia nel sistema di istruzione italiano, e speriamo che questa volontà si traduca presto in fatti concreti.



Quindi mi stupisco che la gente protesti. E che la sinistra protesti. Ma perché? La Gelmini non cerca di razionalizzare la gestione per trovare le risorse e mettersele in tasca, ma perché queste risorse risparmiate possano essere investite per uno sviluppo futuro più all'avanguardia di quanto il presente della scuola italiana sia mai stato.



Certo, c'è il pericolo, come sottolineato nell'articolo di Paola Mastrocola, che la corda poi venga tirata troppo a favore del punto di vista economico a scapito di quello didattico. Che vengano più usati parametri economici per valutare le scuole senza considerare i parametri meno quantificabili ma più importanti della didattica. Credo tuttavia che sia ancora troppo presto per entrare in stato di allerta. Soprattutto visto che, ora come ora, la scuola così com'è è completamente ferma. Non c'è nessuno che tiri la corda né da una parte né tantomeno dall'altra.



sabato 20 settembre 2008

Sarah Palin tra paradiso e inferno

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Oggi ho deciso di spendere due parole sulla donna più chiaccherata del momento in ambito politico, prendendomi la libertà di qualificarne gli attributi di fascino dal mio personale punto di vista, quello di un ignorante di sinistra (come la cara Carlà). Seguo la politica statunitense da oltre un anno, ma mi ritengo comunque un ignorante. Per uscire dalla categoria dovrei continuare a seguire la politica e trasferirmi negli Stati Uniti per viverla in primo piano, sulla mia pelle; ma vista l'impossibilità di tale progetto, mi accontento del mio blog.



Sarah Palin.



Da dove inizio a descrivere Sarah Palin?



Da quando McCain l'ha scelta come altra estremità del suo ticket è diventata la donna più cliccata su internet. E' diventata la donna più criticata e gossippata del mondo. La sua page su facebook ha raggiunto quota 402mila supporters in meno di tre settimane. E' inutile dire che anche io ho subìto il suo fascino.



Ho sempre avuto un debole per le donne in politica. Soprattutto quelle che hanno sudato per guadagnarsi la visibilità e la reputazione (non come la Carfagna insomma). Quelle che hanno un curriculum politico in ascesa, che ritengo fermamente essere l'indice più rappresentativo non solo di intelligenza politica ma anche di buoni risultati. 



In particolare, ammiro Sarah Palin per la sua carriera fino a questo momento. Dapprima sindaco di questa piccola città di 7 mila abitanti, Wasilla, per due terms consecutivi. E poi Governatrice. Per essere eletta Governatrice deve averne fatte di cose buone da Sindaco, no? E poi anche il suo stato: l'Alaska, questo grande stato americano finora famoso solo per il petrolio e forse per essere stato il setting del film Into The Wild. Sono tre cose che affascinano, politicamente.



E poi c'è la componente di genere: una donna. Il fatto che una persona di successo sia una donna dà sempre una carica di entusiasmo in più. Forse perché abbiamo ancora quest'idea che una donna in qualche modo debba sempre essere più forte, brillante e tenace di un uomo per arrivare in alto. Se davvero McCain l'ha scelta come contro-Hillary anche per intercettare i voti della sinistra moderata, beh, ha compiuto una scelta azzeccata.



Del fatto che sia mamma in realtà non me ne frega molto. In linea di massima credo che, se una donna di successo abbia voluto non avere figli o sfornarne otto, quelli siano affari suoi e non le diano né un vantaggio né uno svantaggio. Perciò non ne parlerò.



Infine, l'ultima componente di fascino di Sarah Palin è la sua coerenza. La coerenza dei suoi comportamenti con i suoi principi, che ognuno considera più o meno giusti o sbagliati. Certo, non ho fatto studi approfonditi sulla sua vita e l'unica sua biografia che ho letto è quella di Wikipedia, però trovo che il tanto pubblicizzato figlio dawn che ha voluto tenere senza abortire a 40 anni di età sia un esempio di quella coerenza, perché quella decisione ha un peso ed incide concretamente sulla sua vita. E' una coerenza che non è solo parlata come quella di tanti altri politici, ma è garantita da fatti.
E poi 3 giorni dopo il parto era già al lavoro. Per me questa è una notizia bomba incredibile che fa salire la sua immagine di mille punti.



Poi invece ci sono tutti i suoi principi, quei principi, in cui io non mi identifico in the slightest (neanche di striscio). La vicenda della povera figlia 17enne che sposa il giocatore di hockey che l'ha messa incinta mi fa inorridire. Che sia proprio volontà della 17enne o che invece sia un'imposizione della madre, poi, non lo sappiamo, e quindi non vado oltre. Ma il suo conservatorismo mi fa rabbrividire e rappresenta tutto ciò che sta agli antipodi di cuò in cui credo. E il fatto che lo propugni con una tale forza d'animo e decisione mi fa quasi paura. Mi sembra quasi un'indemoniata. L'incarnazione dell'inquisizione nel XXI secolo. Il malleus maleficarum fatto persona.



Sia mai che vincano ancora i Repubblicani.
Ma Sarah rimane comunque una figura capace di dare molta ispirazione.
Ed è bene che i Democrats ne tengano ben conto.



giovedì 18 settembre 2008

In città senza la mia auto

Emw
Aria pulita per tutti.



Questa la traduzione italiana dell'iniziativa europea nell'ambito della European Mobility Week 2008, dal 16 al 22 settembre. E' l'undicesima edizione di questa giornata internazionale, che tradizionalmente chiude la settimana europea di mobilità. In quest'edizione, gli abitanti torinesi ed europei sono chiamati a dare il proprio contributo alla mobilità sostenibile recandosi al lavoro in bicicletta, in metropolitana, in autobus, in tram, in bicicletta o a piedi.



Leviamoci queste auto da sotto il deretano, please.
Iniziamo il 22 settembre. Settimana nuova, vita nuova.



Katy Perry e la strategia di marketing

Images A tutti noi piace la musica con anima. Quella profonda, con i testi significativi che è un piacere leggere perché riflettono parti di noi, momenti di vita, stati d'animo particolari. Musica da Alanis Morissette insomma, che puoi ascoltare per anni e riesce sempre a trasmetterti qualche significato nuovo. Io ascolto ancora Doth I Protest Too Much e ogni volta quel testo e quella musica sono una scoperta nuova.



A volte però ci piace anche la musica superficiale. Quella frivola, che non impegna, trasmette solo good vibrations e ci libera la mente. Perché, alla fine dei conti, diciamocela tutta: nella realtà di oggi ci sono talmente tante cose che dobbiamo prendere seriamente che è un nostro sacrosanto diritto immergerci nella superficialità della musica per rilassarci un po'. E' per questo che mi piace la musica pop.



Volevo dare a questo blog un taglio più serioso, ma ho capito che la massima della vita e della musica superficiale vale anche per un blog e per un blogger.



Oggi ho ascoltato di nuovo il singolo di Katy Perry, lo strascanzonato I Kissed A Girl e mentre guidavo per Torino mi sono reso conto che la storiella raccontata dalle parole della canzone è un'opera di marketing perfettamente realizzata. E qui mi riferisco ai gruppi sociali potenziali target della canzone. Vado a fare un discorso un po' sociologico insomma, e faccio riferimento alle divisioni per sesso e orientamento sessuale. E inserisco anche un po' di stereotipi, siete avvertiti... nessuno se la prenda a male, suvvia.



I maschi etero, solitamente i più restii ad ascoltare musica pop, ancor di più se cantata da una donna, si sentono legittimati ad ascoltare questa canzone e persino a cantarne il ritornello. Del resto l'amore lesbico è sempre la prima fantasia di un maschio eterosessuale, e si sa. Un uomo che si ritrova a canticchiare la canzone si giustifica con questo motivo. E poi Katy Perry è una ragazza niente male da guardare.



I maschi gay invece si sentono toccati in prima persona. La situazione cantata dal ritornello infatti calza a pennello con la loro situazione, anche loro sarebbero sorpresi di aver baciato una ragazza e ancor più di aver apprezzato quel momento. Ogni singolo gay potrebbe cantarla con lo stesso animo di Katy Perry.



Le donne etero sono sempre il macrogruppo che più si adegua ad ogni situazione, senza estremismi. Nel nostro singolo caso, vedo che le donne etero apprezzano la canzone con una dose più meno massiccia di indifferenza, ne canticchiano il ritornello, alcune si rispecchiano nel testo, altre cercano di azzeccare le parole in inglese, altre ancora ammirano il candore della pelle di Katy Perry.



Le donne lesbiche sono quelle che rappresentano meno il target della canzone. Loro nelle parole di Katy non si rispecchiano, e molte sono quelle che disprezzano la musica pop. Solo le lipstick ne apprezzano il ritmo. Ma tutte concordano sul fatto che Katy Perry è una ragazza da guardare.



Con una canzone che qualcuno ha paragonato ad un inno lesbo (mah), Katy Perry (e chi le sta dietro) è riuscita a colpire il 90% degli ascoltatori. Il calcolo non è male per essere solo musica superficiale.



mercoledì 17 settembre 2008

Mobilità (in)sostenibile

Mobilita
Da pochissimi giorni ho acquistato una nuova Panda con alimentazione a metano, "Natural Power" è il nome altisonante dato dalla Fiat a questo nuovo modello di Pandina.



A parte la comunicazione di prodotto che abbellisce sempre il tutto, l'alimentazione a metano è davvero una straordinaria trovata. Riesce a coniugare rispetto per l'ambiente e mobilità ecosostenibile con un effettivo ritorno economico: non solo appaga le coscenze ecologiche, ma il metano costa oltretutto quasi la metà della benzina. Ad oggi, per esempio,  l'Agip riporta 1,428 per la benzina, 1,362 per il diesel, 0,683 per il GPL, 0,896 per il metano.  Una soluzione di responsabilità ambientale totalmente riuscita, anche dal punto di vista del business.



L'unica pecca è che i distributori di metano non sono ancora così diffusi, anche se è verissimo che, se la Fiat ha iniziato a produrre automobili a metano, è perché è sicura della sua prossima diffusione. In effetti con gli incentivi regionali sul metano (pari a 2000€ + assenza di bollo per i primi 5 anni di vita dell'auto), questa è l'unica soluzione intelligente: installare un impianto GPL non conviene più (costa intorno ai 2000€, tanto quanto gli incentivi sul metano), né tantomeno conviene acquistare un'auto esclusivamente a benzina, dato che a lungo termine si va a perdere. Senza contare le questioni di sicurezza, il metano è un gas naturale e perciò è totalmente sicuro.



Proprio ieri invece ho chiesto informazioni sul servizio di car sharing adottato da qualche anno dal comune di Torino, ed ora anche di Collegno e Grugliasco (quelle famose automobili del Car City Club con la scritta "io guido" in arancione sul fianco). Confesso che l'idea di utilizzare un'auto in comune con altri, e quindi solo quando ne si ha veramente bisogno, mi alletta moltissimo. La trovo una soluzione capace di coniugare il bisogno dei torinesi di avere sempre una macchina sotto il deretano con un utilizzo molto più moderato della stessa, e quindi con un risparmio notevole di emissioni (tanto più che le automobili utilizzate dal car sharing sono tutte a metano).



Tuttavia ho alcune perplessità. In primis relativamente ai costi. L'utilizzatore del servizio paga una quota annuale (o semestrale, trimestrale o mensile) pari a 180 €. E fin qui tutto tranquillo. Poi il costo dell'utilizzo dell'automobile è duplice: vi è un costo chilometrico e un costo orario. Per una Punto, per esempio, il costo è di 2,20€ all'ora e 0,50€ al km. Vi sono poi sconti se l'utilizzo è effettuato di notte e se si superano i 100 km). Non ho avuto ancora occasione di fare due calcoli considerando la mia frequenza di utilizzo del veicolo, ma se supponiamo una situazione generale in cui una persona usa l'auto per andare al lavoro e poi fare qualche commissione prima di tornare a casa, possiamo ipotizzare che il torinese medio tenga l'auto in sharing occupata per 11 ore facendo 20 km ogni giorno? Considerando l'orario di lavoro, poi la spesa, la seduta settimanale di psicoterapia e il figlio da portare e riprendere in piscina, direi di sì. In questo caso, il torinese medio spenderebbe 34 € al giorno, che sui 5 giorni lavorativi si tradurrebbe in 170 €. A cui si devono poi aggiungere le uscite serali, le scampagnate nel weekend e tutti quei piccoli imprevisti di ogni giorno. Facciamo 220€ alla settimana? Quindi otteniamo 880€ al mese. Che è una cifra spropositata per l'utilizzo dell'auto che fa il torinese medio.



Diverso è il caso in cui consideriamo un torinese... speciale (stavo per scrivere anormale, ma poi ho pensato di rendere il complimento più chiaro) che va al lavoro in bici, e che quindi non spende nulla per le sue otto ore di parcheggio, fa esercizio quotidiano, consuma le sue calorie, e cresce più sano e più bello (come la Lambertucci). Se il nostro torinese speciale utilizza l'auto in sharing per le sue 3 uscite settimanali in cui l'auto gli è proprio necessaria (3hx10km), due uscite serali (5hx10km) e le scampagnate nel weekend (8hx50km), l'auto gli costa 119€ al mese. In più non ha lo stress di cercare parcheggio perché parcheggia sulle strisce blu senza pagare, può circolare sulle corsie riservate ai mezzi pubblici e non avrà mai restrizioni di accesso al centro città e non pagherà metano, bollo o assicurazione. Non c'è confronto insomma. Il car sharing è un servizio conveniente solo per chi utilizza l'auto in maniera non ordinaria, e paga infatti solo il costo di utilizzo. 



Un'altra perplessità è dovuta al sistema di utilizzo: bisogna infatti prenotare l'auto per tempo, altrimenti ce la si può vedere soffiata, e bisogna riportarla esclusivamente nel parcheggio in cui la si è presa.



Riguardo alla prenotazione, bisogna insomma sempre giocare d'anticipo: pena l'uso di una Multipla (tariffe orarie e a km più care) quando in realtà una 600 sarebbe più che sufficiente. Cosa succede se ho un'emergenza improvvisa e non posso prenotare in anticipo?



Relativamente alla situazione dei parcheggi, sarebbe grandioso se si potesse prendere un'auto dal parcheggio vicino a casa e lasciarla in qualsiasi parcheggio della città. Sarebbe veramente una mobilità senza limiti. Capisco però i problemi di gestione e coordinamento che ciò provocherebbe al Car City Club, soprattutto pensando a tutti quei torinesi in carriera che prenderebbero le auto dalla periferia per lasciarla poi in centro e magari tornare a casa la sera con la macchina di un collega. Il centro si ritroverebbe in pochi giorni a straripare di automobili mentre la periferia piangerebbe, così come quegli stessi torinesi in carriera che il giorno dopo non troverebbero più l'auto sotto casa e andrebbero a lamentarsi al Car City Club.



E un torinese che si lamenta non è cosa da prendere alla leggera.



No no, meglio soprassedere. Per ora almeno.



martedì 16 settembre 2008

Piste ciclabili a Torino

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Dopo un anno passato a muoversi in bici a Copenaghen, non si torna più indietro.
Usare la bici come mezzo di trasporto è un'esperienza unica che combina facilità di spostamento, esercizio fisico e assenza di inquinamento. It's a win-win-win.



Dal mio rientro a Torino ho iniziato a esplorare le possibilità che la città offriva a chi voleva muoversi in bici all'interno della città, e le mie impressioni sono state decisamente migliori di quanto mi aspettassi. Le piste ciclabili sono molte, e la comunità ciclistica che le utilizza è di gran lunga maggiore di quanto credessi.



Certo, questo non vuol dire che la situazione non sia migliorabile. Uno dei problemi maggiori è il fatto che le piste sono raramente collegate tra loro, rendendo i passaggi da una pista all'altra molto difficili e pericolosi per un ciclista. Un esempio tra tutti, segnalato dalla mia amica cherchilla di criticalmap.org, la pista ciclabile di Corso Inghilterra, che non è collagata a quella di Corso Francia né a quella di Corso Castelfidardo: il ciclista deve imboccare il Corso sulla carreggiata insieme alle auto, poi spostarsi dopo 200 metri al centro dove si trova la pista, percorrere quel tratto e ributtarsi in carreggiata.
Un altro problema è la conformazione stessa delle piste ciclabili, che spesso sono a raso e vengono usate come parcheggio dalle automobili, se non persino come parcheggio in doppia fila.
Terzo e ultimo problema che mi sento di segnalare come ciclista urbano, anche se ce ne sarebbero sicuramente molti altri, è l'assenza di collegamenti dalla città verso la prima cintura, e viceversa. La zona Nord di Torino è praticamente sprovvista di collegamenti verso la città più vicina, Settimo Torinese. L'unico collegamento che esiste è quello che segue il corso del Po, da una parte lungo Corso Casale, dall'altra attraverso il Parco della Colletta, che arriva a San Mauro e da cui si può poi utilizzare il nuovo parco lungo il fiume per arrivare a Settimo. Il percorso in sé non è affatto male: è esclusivamente ciclopedonale ed è chiuso al traffico per la maggior parte della lunghezza; tuttavia, per un tragitto Settimo Torinese - centro di Torino, le distanze con questo percorso vengono allungate in maniera spropositata.



Riconosco però che il comune di Torino si sta davvero impegnando nella diffusione delle piste ciclabili in città. Proprio ieri ho scoperto per la prima volta la pista ciclabile in via Principe Amedeo che collega il centro con quella già esistente di via Bertola, e quella in senso di circolazione inverso di via Arcivescovado e via Cavour. E anche sul tratto verso Settimo Torinese, che mi riguarda da vicino, è stata costruita da poco una pista ciclabile che collega il centro commerciale Auchan con lo stabilimento Michelin lungo Corso Romania, con l'intento in un futuro prossimo di dotare l'ultimo tratto del Corso di una pista ciclabile che si colleghi con quella che partendo dal Villaggio Olimpia arriva fino a Settimo Torinese.



Spero che si vada decisamente avanti in questa direzione, perché l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto è qualcosa che vale la pena di essere scoperto per tutti i vantaggi che comporta: da quelli urbani, come la riduzione del traffico e dell'inquinamento, a quelli personali, dai benefici per la salute, l'organismo, il fisico e la mente ad altri quali la riduzione dello stress da traffico (vogliamo mettere?), la scoperta di particolari della città mai notati prima (ve lo giuro), e la sensazione di appartenere ad una comunità di persone che è consapevole di fare qualcosa di buono per sé stessi e la città intera. Persino la Contessa Barbara Ronchi della Rocca si sposta in bici! Vogliamo provarci anche noi?



lunedì 15 settembre 2008

Il bambino russo e il bambino americano

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Gli ultimi sviluppi internazionali dalla crisi Georgiana in poi non sono per nulla rassicuranti per il mondo intero. La Russia continua la propria escalation di baldanzosità, come uno di quei bambini arroganti che si diverte a provocare il suo aminemico, pur sapendo (o forse proprio per quello) che a lui toccherà il ruolo di 'bambino cattivo' mentre all'altro verrà sempre attribuita la parte del 'bambino bravo'.



Ora, io credo che in quanto a cattiverie e meschinità sia gli Stati Uniti sia la Russia siano a pari livello. L'unica differenza è che la Russia, vuoi per ingenuità, stupidità o sincerità, non riesce a mascherarle. Ieri ho letto un articolo riguardante lo scontro Georgiano, in cui l'autore sottolineava il ruolo degli Stati Uniti nell'innescare il conflitto. Infatti, sosteneva l'autore, uno stato mignon come la Georgia non si sarebbe mai sognato di attaccare né tantomeno provocare l'acerrimo nemico e vicino russo se non fosse stata più che convinta di avere le spalle coperte dall'aiuto dell'intervento americano. Che è un'ipotesi che sta in piedi, secondo me. E mi meraviglio di non averla mai letta prima sui giornali.



Solo che, povera Georgia, l'intervento americano non c'è poi stato. Lo stesso autore sosteneva che tutto il trambusto fosse stato organizzato dall'amministrazione Bush per aumentare nell'opinione pubblica americana il senso di pericolo incombente di una prossima azione militare russa, in modo da avvantaggiare i Repubblicani nelle prossime elezioni, dato che la caratteristica principale del loro candidato John McCain è quella di essere stato un soldato (ormai dicono solo quello di lui). Questa spiegazione mi fa inorridire. Come gli interessi di un paio di persone possano arrivare a minare la stabilità di un territorio e di molte, molte altre persone che ora, mentre l'amministrazione repubblicana è nelle loro case di Wisteria Lane con le loro Stepford Wives, sono sfollate e in esilio nell'Ossezia del Nord piuttosto che in Azerbaigian.



E qui giungiamo al ruolo dell'Europa in tutto ciò. Sono contento del ruolo mediatore assunto da Strasburgo, e anche della parvenza di unanimità che in quest'occasione pare esserci stata nei 27 (anche se la Polonia rimane sempre la spina nel fianco), tuttavia mi sembra si stiano usando due pesi e due misure diverse a seconda della nostra convenienza. Mi riferisco in particolare al Kosovo. Quando quest'enclave reclamava l'indipendenza dalla Serbia, tradizionale alleato della Russia, tutta l'Europa e gli Stati Uniti hanno alzato le loro bandiere in nome del principio di diritto internazionale di autodeterminazione dei popoli. E via l'indipendenza al Kosovo. Per le repubbliche di Abkhazia e Ossezia del Sud invece questo diritto non esisteva. Anzi, ci si è appellati ad un altro principio del diritto internazionale che predica l'integrità del territorio di uno stato sovrano, in questo caso di quello Georgiano. Ma perché questa differenza di trattamento allora? Quando ci sono di mezzo i nostri amici, allora li favoriamo, e quando possiamo mettere i bastoni tra le ruote dei nostri nemici, allora lo facciamo? Non è questa l'Europa in cui voglio crescere.



E la Russia continua a cascare come una polla in tutti questi giochetti del mondo occidentale. I Russi hanno un orgoglio così vivo per il loro precedente status di superpotenza mondiale che non riescono a ragionare con lucidità. Un po' come i torinesi e l'orgoglio per il loro passato di capitale, insomma. Gli Stati Uniti continuano a stuzzicare Mosca, che non chiede di meglio per mostrare i propri muscoli. Ma questo non è un gioco. Washington e Mosca non sono due bambini. Al contrario, di vite (e di bambini veri) a rischio ce ne sono molte, e per ogni 'piccolo' scontro di nuova guerra fredda tra i due, sono sempre i civili a rimetterci. USA e Russia non si rendono conto che continuare a stuzzicarsi a vicenda non può dar luce a niente di buono. E non si rendono conto che, qualora un conflitto dovesse aprirsi, sicuramente non ci sarebbe vincitore alcuno: saremmo tutti perdenti. E morti.




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