venerdì 26 dicembre 2008

Torino, fine di una capitale part I

Misterotorino
Riprendo a scrivere nel blog dopo una breve parentesi di qualche settimana non troppo felice (né tranquilla) della mia vita. E riprendo riportando qualche pagina del libro di Messori e Cazzullo, Il Mistero di Torino, uno dei libri più belli che abbia mai letto sulla nostra città e che mi è stato restituito proprio ieri da uno zio a cui lo avevo prestato. Un ottimo libro da gustare insieme ad una tazza di tè in questa bellissima giornata fredda e bianca.



Questa parte parla di Torino capitale d'Italia:



"Non era scritto da nessuna parte che Torino non potesse restare la capitale d'Italia. Eppure non solo questa possibilità apparirebbe oggi stravagante, ma neanche allora fu presa in seria considerazione.



Qual è il criterio per cui una città è capitale? Non quello demografico (altrimenti la capitale dell'Italia unificata sarebbe stata Napoli). Non quello economico (e allora sarebbe stata pronta Milano). Non quello storico-culturale (se Roma città a vocazione universale era stata il centro irradiante delle due anime della cultura europea - la cristiana e l'umanista -, la patria dela lingua e dell'arte italiana, la città che aveva imposto il suo modo di parlare, pensare, edificare, raffigurare l'uomo e le cose era ed è Firenze). In tutta Europa, laddove in età moderna, tra la fine del XV e la fine del XIX secolo, sono sorti gli Stati nazionali, è diventata capitale la città d'origine della dinastia regnante; che quasi mai coincide con il centro geografico del paese. (Solo Madrid è in mezzo alla Spagna. Parigi, Londra, Berlino sono in posizione eccentrica. Da quando il confine orientale tedesco è fissato sulla linea dell'Oder-Neisse, poi, Berlino è in un angolo non meno di Torino.) Tieni conto pure che, nell'Italia preunitaria, in un angolo Torino non era affatto. Era anzi al centro di un territorio-ponte tra le due grandi potenze europee, la francese e l'austriaca, un territorio che a occidente si spingeva oltre le Alpi con la Savoia (amputata per la ragione del nuovo Stato, quello italiano) e a oriente si affacciava sul Ticino, a pochi chilometri da Milano (all'avvio del Risorgimento Torino e Milano sono più o meno equivalenti per peso demografico, entrambe medie città europee di circa 140 mila abitanti). E' l'unificazione a collocare Torino in un angolo; neppure quello favorevole, dopo lo scoppio della guerra doganale con la Francia.



La capitale se ne andò nella stessa maniera con cui l'Italia sarebbe entrata nella prima guerra mondiale (e che avrebbe determinato in seguito molte altre cose), con un trucco di palazzo. Il Presidente del Consiglio Marco Minghetti si mosse alle spalle del re: trattò con Napoleone III il graduale ritiro delle truppe francesi da Roma, premessa del suo passaggio all'Italia; in cambio l'imperatore, che non aveva dimenticato i fischi del 1859, otteneva che il Regno si desse un'altra capitale, che non fosse né Roma né Torino. Vittorio Emanuele II seguiva i negoziati dal castello di Sommariva Perno, e fu informato della clausola il 13 agosto 1864, all'ultimo momento."



(Messori, Cazzullo, Il Mistero di Torino, Mondadori, 2004, p.450-451)



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