sabato 27 dicembre 2008

Torino, fine di una capitale part II

Savoia
Altrimenti detta il seguito della low-profile entry di ieri.
Per non lasciare le cose così a metà.



"L'addio a Torino non è indolore. Il ministro della Guerra, generale Alessandro Della Rovere, sdegnato, si dimette. Il re dà fuori di matto. Con Minghetti, che si dice sicuro di interpretare 'il sentimento degli italiani', piange e grida: "Che dirà Torino? Non è indegno rimeritarla di tanti sacrifici con un sacrificio ancora più crudele? E che importa a voialtri di Torino? Sono io che ne ho il cuore schiantato, io che ho sempre vissuto qui, che ho qui tutte le memorie d'infanzia, tutte le abitudini, i miei affetti". Uno sfogo in cui la parola chiave, come vedi, è voialtri. A cui di Torino non importava nulla, o peggio.



Invano il re manda a Parigi un altro generale, Luigi Menabrea, con una lettera per scongiurare Napoleone di lasciar perdere. Il 20 settembre la notizia è sui giornali. Il giorno successivo la folla si raduna in piazza Castello e in piazza San Carlo al grido di 'Torino o Roma'. La protesta è scambiata per rivolta. I generali piemontesi sono più sgomenti ancora della folla per il trasferimento della capitale, ma sono anche del tutto impreparati a fronteggiare un moto di piazza. Il 22 i cortei ripartono. Viene schierato l'esercito. Sparano per prime le reclute dei carabinieri, ma contro i fanti. I fanti rispondono. E' una strage. Il re non si fa vedere in città: "Non voglio essere testimone oculare del sangue versato nel paese che mi vide nascere" (è nato a Palazzo Carignano, a cento metri dal luogo dove il sangue è stato versato). Ne approfitta per chiedere a Minghetti di dimettersi. Il presidente del Consiglio chiede un ordine scritto. Lo ottiene subito.



A quel punto bisogna decidere cosa fare, e quale città scegliere come capitale. Vittorio Emanuele pensa di affidarsi ancora una volta a Rattazzi, ma l'amico si chiama fuori: non ha alcune intenzione di legare il suo nome al tradimento di Torino, pretende di annullare l'accordo con la Francia. Lamarmora invece accetta, ma il nuovo governo non sa neppure dove stabilirsi. Chi al posto di Torino propone Napoli. Chi Venezia, che non fa neppure parte del Regno. Risolve il re: "Andando a Firenze, dopo due anni, dopo cinque, anche dopo sei se volete, potremo dire addio ai fiorentini e andare a Roma; ma da Napoli non si esce; se vi andiamo, saremo costretti a rimanerci". Passeranno infatti sei anni prima di un altro, fatale 20 settembre. Ma gli incidenti a Torino non sono finiti. La sera del 30 gennaio, in una città tesa e straziata, è in programma a corte il gran ballo di Carnevale. Le carrozze degli aristocratici che tentano di avvicinarsi a palazzo vengono bersagliate di ortaggi e di sassi. Il ballo va deserto. Sentendosi a sua volta tradito, Vittorio Emanuele respinge le dimissioni del ministro dell'Interno Giovanni Lanza e parte per Firenze. (L'accoglienza dei fiorentini è entusiasta. Porge il saluto della città il venerando Gino Capponi, discendente di Piero. Un entusiasmo che svanirà in fretta, e i fiorentini non hanno ancora perdonato ai piemontesi gli sventramenti e in particolare la lapide di Piazza della Repubblica. In effetti l'accenno al 'secolare squallore' del centro storico di Firenze non è dei più felici; ma allora era parso così.) Una delegazione parte da Torino per implorare il perdono del sovrano. Vittorio Emanuele rifiuta di riceverla. Dopo lunghe insistenze, l'udienza è accordata. Il re si infuria un'altra volta, grida, rimprovera, poi scoppia ancora a piangere, perdona, è perdonato, e di Torino capitale non si parlerà più."



(Messori, Cazzullo, Il Mistero di Torino, Mondadori, 2004, p.451-452)



2 commenti:

Enrico Veglio ha detto...

Lo sai che sulla strage di Piazza San Carlo esiste una "Via Crucis di Gianduja"? Prima di diventare il simbolo dell'industria dolciaria (simbolo della forza di ripresa di Torino dopo la perdita del titolo di capitale) era simbolo del popolo come molte altre figure della commedia dell'arte. La Via Crucis di Gianduja è anche ripresa nella pièce teatrale "Gianduja: una riscoperta in corso" di Alfonso Cipolla

Dario Cracco ha detto...

Ma quante ne sai Enrico?
Grazie!

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...