martedì 20 aprile 2010

L'Eyjafjallajökull e noi


Come quando manca la luce: da un evento naturale, una pausa e una lezione

A voi, personalmente, che cosa ha fatto? Vi ha costretti a dormire in aeroporto? Rimandare un viaggio, mancare un appuntamento, perdere un lavoro? Tanti hanno un racconto da fare, sulla nube che improvvisamente ci ha fatto sentire più europei dell’euro.
La parola «nube» è una delle più belle parole che ci siano. Pochi titoli sono evocativi come La nube purpurea di Matthew Phipps Shiel, dove si racconta di una nube apocalittica che minaccia di estinguere l’umanità. Ma oggi la storia di una nuvola di cenere, che dal cuore di un vulcano nella lontana Islanda irrompe nelle nostre vite e cambia i nostri programmi, creando disagi grandi e piccoli, sembra uscita da un film di fantascienza neanche tanto originale.
Coloro per i quali la faccenda della nube è stata un disagio, o anche un disastro (per molte persone coinvolte col Salone del Mobile, ad esempio, il mancato arrivo dei buyers stranieri è stata un’occasione mancata che si tradurrà in un grosso problema economico), non trovano nessuno che li consoli, perché in fondo stiamo tutti dalla parte della nube, l’evento naturale e imprevisto che ci ricorda in un lampo da dove veniamo e dove torneremo.
È come quando manca la corrente elettrica. Alla luce della candela il pensiero delle provviste che marciscono nel freezer, o del cellulare senza carica, non basta a soffocare l’emozione di tornare, per un momento, a sentirci più umani, più vicini a ciò che conta. E pazienza se dobbiamo rinunciare al sushi o al funerale di Kaczynski (con rispetto parlando), pazienza se perdiamo anche dei soldi.
Parlo così perché non possiedo una compagnia aerea, evidentemente, e nemmeno un albergo, un ristorante o un taxi. I taxisti milanesi che contavano sulla solita orda di architetti e designer tedeschi e olandesi da trasportare qua e là per il Fuori Salone forse saranno meno ben disposti di noi nei confronti della nube di cenere che non intossica (pare) ma ci costringe a fermarci.
Fermarsi, che liberazione. E spedire una email in cui diciamo che non possiamo andare alla Fiera del libro di Londra causa vulcano, come dei Marco Polo o degli Amerigo Vespucci.
I quotidiani della domenica, una volta tanto, sono pieni di articoli di scrittori, filosofi, scienziati e teologi: chi ci ricorda la potenza della natura matrigna citando il Dialogo della Natura e di un Islandese di Leopardi, chi riflette sulla caducità del nostro supposto dominio sul mondo, chi tira in ballo Kant e chi Voltaire. Carlo Petrini di Slow Food auspica un mondo slow dove si va più piano e ci si ricorda sempre che «basta la salute». E c’è chi sogna, segretamente, che la nube, come l’extraterrestre di Finardi, ci porti via: «In un pianeta su cui ricominciare». Viva la nube, che per un giorno ci ha reso più saggi.

(via Daria Bignardi)

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