venerdì 26 giugno 2009

Halil Ibrahim Dincdag

L'arbitro gay fa outing,
la federazione lo licenzia





Il commentatore tv: «Non può
riavere il posto, darebbe rigori
ai giocatori più carini»

GIULIA ZONCA

L’outing in Turchia è una scelta di estremo
coraggio e Halil Ibrahim Dincdag aveva già le spalle al muro quando ha
deciso di sedersi davanti a una telecamera e raccontare in un
seguitissimo talk show di essere gay. È un arbitro, cioè lo era perché
da quando i suoi gusti sessuali sono diventati pubblici la federazione
gli ha tolto il lavoro e i vicini lo hanno obbligato a lasciare
Trabzon, città super conservatrice, per Istanbul dove per lo meno può
circolare senza essere aggredito. All’inizio è stato un pettegolezzo,
poi un insulto e il sospetto della sua omosessualità, non nascosta, ma
mai sbandierata, è bastato a farlo diventare cittadino poco gradito.

Molto
prima del suo racconto in diretta tv stava già senza lavoro, proprio
per questo ha deciso di reagire: «Pensavano che mi sarei nascosto
invece ho fatto il contrario e sono diventato una bandiera per il
movimento dei diritti gay». Ha fatto causa e si è consegnato alla
stampa perché pubblicizzasse la sua storia e ha svegliato gli
omosessuali turchi che ora lo considerano come Harvey Milk, il primo
politico dichiaratamente gay diventato consigliere comunale a San
Francisco nel 1977 e poi assassinato. A differenza di altri paesi
musulmani, la Turchia non mette in carcere gli omosessuali però li
perseguita al limite della legge. Nel caso di questo arbitro la
federazione ha usato il suo passato: è stato dichiarato non idoneo al
servizio militare (anche allora perché gay) «quindi non è in condizione
di arbitrare». Erman Toroglu, la voce del calcio turco, ha commentato:
«Non può riavere il posto, assegnerebbe i rigori ai giocatori più
carini ». Il livello è questo, battutacce e riprovazione.

Dincdag
però è diventato un caso e la Turchia ancora aspetta l’approvazione
della comunità europea: non vogliono trasformarlo nell’esempio di quel
che non funziona. Gli è sfuggito di mano: che un trentatreenne timido e
solitario, arbitro da 13 anni proprio perché il ruolo gli consentiva di
stare per i fatti suoi, si mettesse alla testa di una rivoluzione
sociale non era previsto. Invece Dincdag ha successo, ha mobilitato
blog e manifestanti e persino la famiglia, con cui non si era mai
rivelato, lo appoggia: «Anche mio fratello imam mi ha aiutato. Rivoglio
il mio lavoro. Sono pronto ad andare alla corte Europea».

(via lastampa.it)


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